
È un
incontro di latitudini diverse Walk with Me (2013),
precisamente la Danimarca, patria di Johan Oettinger, animatore
classe ’84, e l’Uganda, terra natia di Peter Muhumuza Tukei,
fotografo, pittore nonché regista d’animazione, una crasi
artistica a cui lo spettatore si può abbandonare senza grossi
rimorsi per tutti i suoi dodici minuti di durata. L’azione che va
compiuta non è tanto quella della comprensione (il corto si chiude
spavaldo con la frase “did you understand anything?”) quanto
l’ammirazione, nel suo piccolo, dell’impulso estroso che
concretizza l’opera. Il titolo va inteso come un manifesto di
intenti pronunciato dalla bimba protagonista, dobbiamo camminare
con lei in un sentiero che si intrufola negli alvei
dell’immaginazione, il cielo è purpureo (valido l’impatto visivo
delle nuvole viola), la testa di una bambola si fonde ad una scarpa
per tramutarsi in una macchinina artigianale mentre un’altra testa,
’sta volta piumata, svolazza per l’aere con a cavalcioni
l’aspirante ballerina, ed attraverso tali esempi di smaccata
surrealtà, ai quali si aggiunge necessariamente una specie di zona
desertica che ha un qualcosa di daliniano con la riproduzione animata
della bambina, il cinema del giovane duo risponde con ritmo e tatto
cromatico (colpisce il puzzle di barattoli colorati), nonostante
l’obiettivo sia introspettivo le frequenze non hanno nulla di
intimo o personale, ne perde lo “spessore” ci guadagna lo
“spettacolo”.
Esaminando in maniera più accorta il film è possibile rintracciare
un evento-sorgente che detta una certa linea, l’episodio è
sfuggente ma ricorsivo, sembra che la morte, o presunta tale, della
capra, assuma lo status di simbolo dark nell’immaginario
infantile e quasi candido inscenato da Oettinger & Muhumuza,
l’ispirazione dei registi si parifica, forse, allo sforzo
fantasioso della bimbetta che arriva a recuperare il cadavere
dell’animale coricato in quel deserto di cui sopra, il quale
deserto, allora, diviene una sorta di limbo astratto, mentale, al
confine tra il sé e l’oltre sé. Non male. Peccato per uno score
invadente che a tratti fa sconfinare la proiezione nel videoclip,
risultato legittimo che però chi scrive non digerisce in toto,
preferisco che sia il mondo dei music video a fare visita a quello
della settima arte e non il contrario.
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