venerdì 8 gennaio 2021

Olla

Dalle nebbie una figura: è una donna che con trolley a seguito si sta recando nella casa di un uomo francese conosciuto su Internet.

Ariane Labed, meravigliosa protagonista di Trigonometry (2020), protégée di Athina Rachel Tsangari e moglie di Yorgos Lanthimos da cui fu scritturata per Alps (2011) e The Lobster (2015), firma a trentacinque anni il suo cortometraggio di debutto, Olla (2019), un lavoro che, se non avessi spulciato i dettagli produttivi, avrei collocato geograficamente in un qualche Paese scandinavo per almeno due motivi: l’ironia che sardonicamente imbeve l’opera e l’attenzione alle tonalità molto pastellose di tutto l’impianto scenico. Quindi, a fronte di questo primo impatto epidermico, vi starete chiedendo se e quanto la Labed abbia subito un’influenza dai suoi due numi tutelari ellenici, e la risposta è che sicuramente ci possono essere degli agganci con l’onda greca così come si può riscontrare una contiguità con altre cinematografie tipo quella di Östlund (il nord Europa, appunto), della Kotzamani (per rimanere in Grecia) o di Seidl (che comunque resta un antesignano di Lanthimos). Insomma Ariane ha pescato un po’ di qui e un po’ di là per sagomare un corto che rientra nella consuetudine del settore: l’accortezza nel fornire segnali ottici si palesa già osservando la chioma rossa dell’attrice principale Romanna Lobach, un fuoco femminile che non può essere soffocato nella spenta geometria casalinga né tra le braccia di un tizio che sembra un Michel Houellebecq non ancora totalmente dannato e che tanto per iniziare vuole imporle un nome inventato da lui. In sostanza il senso di Olla risiede nella distanza irriducibile tra la vita che la ragazza vorrebbe e il bagno di grigia realtà che è stata costretta a farsi, e a fare alla madre paralitica.

Trattandosi di un oggetto esclusivamente narrativo (che la Labed ha scritto di suo pugno), e per di più in un contenitore ridotto, è inevitabile il portarsi appresso delle storture che nascono dalla necessità di strutturare la storia con degli input precisi. Sicché l’episodio dove Olla si prostituisce accade più per esigenze di sceneggiatura che altro, idem per il piano dinamitardo del finale che si sottomette alla regola di dover recapitare allo spettatore un prodotto fatto e compiuto. Ma vabbè, sono discorsi detti e stradetti in codesto spazio virtuale e di certo non sarà un Olla qualunque (presentato a Cannes ’19, così per dire) ad aumentare il mio generale livello di sconforto (che è una roba ancestrale e che mi illudo di alleviare guardando “bei” film, leggendo “bei” libri”, eccetera eccetera) perché in fondo, a me, Olla è un film che sta pure simpatico, cioè la scena del balletto in lingerie è di un cringe (come non odiare l’uso comune di parole proliferanti nel Web?) che diverte al pari di rendere le voci della combriccola maschile un’eco d’ovina virilità, soprattutto durante la conclusione quando riprendono a cappella, in maniera nuovamente divertente, le note di What Is Love udita poco prima in una versione transalpina proprio nella sequenza del ballo (una sequenza decisamente attenbergheriana a mio avviso). Divertimento, simpatia, ma dove siamo? All’ACR pomeridiana? Suvvia, le richieste che si fanno al cinema sono di ben altra pasta, che poi esista anche questo cinema, caruccio, ordinato, festivaliero, può andare bene, l’importante è non considerarlo un punto d’arrivo, cosa che anche chi è dietro la mdp dovrebbe tenere a mente.

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