sabato 30 gennaio 2021

Reminiscencias

Spesso i nomi dei film ci forniscono già delle bussole ancor prima di vederli, e Reminiscencias (2010) del regista nato a Lima Juan Daniel Fernández Molero rientra appieno nella categoria, del resto che cos’è una reminiscenza se non un’improvvisa emersione eidetica? E il documentario (ma categorizzarlo così è un po’ riduttivo) sotto esame non è proprio un avvicendarsi di immagini provenienti da quel blob indistinto di ricordi, nostalgie, compleanni, maestre e seggioloni? Sì, è esattamente questo. L’operato di Molero, pescando direttamente dall’archivio di famiglia, si articola di immagine in immagine in un disordine che ben esemplifica il processo mnemonico della ricomparsa, è un film di montaggio Reminiscencias, e non poteva essere nient’altro perché una qualunque iniezione finzionalizzante avrebbe inaridito la corposa portata concettuale che lo imbeve. Succede poi, altrettanto spesso, che un esordio renda più comprensibile il titolo successivo, nonché il trovare analogie, punti di partenza e sviluppi, se infatti ci ricolleghiamo con Videofilia: y otros síndromes virales (2015) è facile notare come il peruviano si sia servito di Reminiscencias per mettere meglio a fuoco il suo credo registico, e i fatti parlano di un ragazzo che è un gran manipolatore in fase di editing, uno sperimentatore in fieri che altera il materiale trattato, e nuovamente l’impressione è che le incursioni nel girato siano apportate più da un boicottatore che da chi dovrebbe avere il pallino del gioco, più da un terrorista somministratore di scompiglio che da un direttore d’orchestra col suo bel spartito aperto sul leggio.

Il vero valore aggiunto di Reminiscencias ce lo spiega però Wikipedia (link). In sintesi, Juan Daniel a seguito di un incidente avvenuto praticando il sandboarding (… e chi è che non fa sandboarding di ’sti tempi?) ha avuto seri problemi di memoria e il rivedere i filmini casalinghi girati da e con i suoi parenti lo ha aiutato a guarire dall’amnesia e a strutturare il film in sé, perché qui, come in qualunque altro oggetto artistico, la struttura è importante, anche se costituita da un susseguirsi di detonazioni. L’alchimia di Molero è un corridoio di specchi che mette in relazione i found footage della sua infanzia/adolescenza con filmati attuali, ottenuti da videocamera o telefono cellulare, è proprio un dialogo che si viene a creare, caotico, esorbitante, totalmente indomabile, ecco degli esempi: vediamo una scimmietta che beve della birra nel passato, e vediamo, subito dopo, un’altra scimmia appesa ad un albero nel presente, e il rimpallo si ripropone con una foresta, una festicciola, una tenda di campeggio, persiste, quindi, un nesso strettissimo tra l’ieri e l’oggi di Molero, una schizzata matassa che è il puntale corrispettivo di una mente danneggiata, un cervello in fumo che vagola in un sé-labirinto. Seguendo l’ideale ricostruzione mnemonica dell’autore acquista allora significato il fatto che nell’ultima mezz’ora, dove non a caso i rimandi con le sequenze di magazzino vengono di molto ridotti, Molero faccia visita al paesino natale di suo nonno, è la meta di un viaggio indirizzato alla radice di una memoria, percorso tradotto in un linguaggio cinematografico in odore di avanguardia senza far venir meno l’impronta intimista, per il sottoscritto un gran debutto di un giovane filmmaker da seguire con attenzione.

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