martedì 23 giugno 2020

Donauspital - SMZ Ost

Questa volta Nikolaus Geyrhalter non è dovuto andare dall’altra parte del mondo per girare un film ma è rimasto nella sua Austria,
Donauspital è infatti il nome di un complesso ospedaliero (pare sia uno dei più grandi in Europa) che sorge a Vienna, su una sponda del Danubio. Il regista si incunea nell’enorme struttura con il suo fare mimetico, nessuna intervista, nessuna domanda, solo la registrazione di ciò che avviene davanti alla videocamera, siamo, in sostanza, nei territori di Our Daily Bread (2005) e di Abendland (2011) piuttosto che di Pripyat (1999) o di Elsewhere (2001), e, proprio dal documentario del 2011 Donauspital - SMZ Ost (2012) eredita una particolare attenzione agli aspetti lavorativi, qui ovviamente concentrati nel settore sanitario. Geyrhalter è una presenza invisibile che si sposta di reparto in reparto lasciando lo spettatore alle prese con ciò che riguarda la vita del personale, dall’inserviente al primario, all’interno del policlinico, e ne escono fuori dei bozzetti sottolineanti una pluralità professionale che convive giornalmente sotto lo stesso tetto per dare linfa ad un sistema complesso che ha bisogno di ogni suo componente per poter funzionare, ci sono le cucine con una brigata numerosissima e c’è quindi una mensa nonché i pasti per i pazienti, c’è un’officina che controlla dei carrelli automatici i quali portano il cibo nelle corsie, ci sono degli addetti che sterilizzano gli strumenti e vi sono i chirurgi che li utilizzano durante gli interventi, e così via in una lunga catena che mira alla massima efficienza, ovvero alla cura dell’ammalato.

Ne esce fuori il ritratto di un ospedale-organismo brulicante di composte relazioni e connessioni, idealmente Geyrhalter ci offre un tour panoramico dall’alba al tramonto che segue all’incirca un filo conduttore esistenziale perché partendo dall’immagine di un neonato in lacrime si arriverà a quella di una salma riposta nella cella frigorifera dell’obitorio. In quest’arco di impassibile illustrazione all’occhio del regista, che diventa il nostro, non è celato nulla, o perlomeno è mostrato parecchio, che siano delle sonde a spasso nello stomaco di una persona obesa o che sia un cervello affettato su un tagliere come se fosse un salume (con cadavere sventrato sullo sfondo), l’esposizione è totale tanto che, in altri frangenti si potrebbe parlare di un’esibizione, quasi di un voyeurismo, ma qui no, qui la coerenza argomentativa e una forma parimenti coerente non fanno scadere la qualità dell’operazione. Geyrhalter, pur non scrivendo la storia del cinema, è un filmmaker più che rispettabile.

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