Opera
epistolare se ci vogliamo fermare alla superficie, di fatto
ascoltiamo le parole di una donna, tale Fethiye Sessiz,
chiaroveggente turca residente a Smirne tra gli anni ’70 e ’80,
che scrivendo una lettera al figlio racconta episodi passati della
sua vita: c’è sopruso, sopraffazione, infelicità, ma se scegliamo
di immergerci nelle oscure acque di Gulyabani (2018) l’apnea
che viviamo va ben oltre la video-missiva, quello di Gürcan Keltek è
un lavoro che sembra una diramazione diretta della sua protagonista,
è un film sulfureo, sibillino, una discesa di trentacinque minuti
che assembla immagini di qualità e formati diversi, dagli scorci
naturalistici agli stralci polverosi di repertorio, è una pozione da
fattucchiere convertita in elementi audiovisivi che tempestano la
percezione, oggetto astratto, sicuramente, e, per via di rimpalli
appena appena percettibili, anche concreto, né più né meno di ciò
che sostanziava il precedente Meteorlar
(2017), sebbene, comunque, Gulyabani
possegga una cifra sperimentale da circuito sotterraneo, e difatti
sono rimasto sorpreso dalla scelta di piazzare sulla locandina
un’immagine che rimanda a Lo specchio
(1975) e, per i più attenti, anche a Phantom Love
(2007) di Nina Menkes, comunque sia Keltek, un autore
promettentissimo a cui dare il nostro appoggio, non fa che
confermare, o addirittura fortificare, la sua traiettoria oltranzista
all’interno del cinema turco che, dopo anni e anni di
Ceylan-centrismo, trova una potente valvola di sfogo che spero possa
avere in futuro una gittata più lunga e duratura possibile.
La strategia messa in atto dal regista è una delle più feconde di cui il cinema dispone, l’allestimento è squisitamente markeriano e vede la contiguità di elementi estranei che però, unendosi, generano un convincente edificio filmico. È sempre la solita apprezzabile storia: una voce narra, in questo caso la sensitiva, e dice cose che non corrispondono alle immagini sullo schermo, la faglia che si crea, la distanza tra udito e vista, è una delle cose più belle e pregne che può capitare quando viviamo l’esperienza della visione perché, data la sua essenza antiletterale, ci chiama in prima persona a partecipare al processo che lì si manifesta, come un’apparizione, un’evocazione, ed è un processo mnemonico, un flusso di memorie che sulla carta non ci riguardano da cui però veniamo inesorabilmente trascinati, e travolti. Il viaggio di Gulyabani non è comodo né confortevole, la frequenza delle diapositive, via via che ci si avvicina alla fine, si distorce, perde leggibilità, si altera in un caos nevrotico incontrollato fino a farsi estuario in un mare di strenua videoarte.
è sempre un problema reperire i tuoi consigli...
RispondiEliminaAssicuro che è praticamente tutto accessibile a chiunque. Per questo corto puoi andare su "mondicinema punto org" sostituendo la parola "mondi" con la sua traduzione in inglese. Lì dentro c'è Gulyabani e molta altra roba, se non si paga un account per ottenere i file ci vuole mooolta pazienza ma piano piano arrivano. Non metto il link diretto perché mi è capitato in passato che qualcuno segnalasse a blogger un contenuto sospetto e che mi cancellassero il post.
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