martedì 12 maggio 2020

Meteorlar

Nell’apertura e qualcosa oltre di Meteorlar (2017) fioccano delle suggestioni: figure umane si inerpicano su per sentieri brulli e ostili, sono ombre che, per un attimo, riportano ai tempi andati in cui Albert Serra girava ancora in bianco e nero, è comunque solo la prima epidermica impressione perché poi, per una decina di minuti, ci ritroviamo in un landscape-cinema che potrebbe portare la firma di Lois Patiño, ma è, nuovamente, una constatazione superficiale perché, fino a quando non si entra davvero nel cuore dell’opera, non capiamo esattamente quale sia la natura di Meteorlar: una fiaba oscura? Un memoir filosofico? No, o almeno non solo, di colpo si viene trascinati nell’elettricità di un qualche tumulto, tensione, incendi, rimbombi che spaccano la notte, sembra di essere in un film di Sylvain George. Ecco allora che utilizzando come mappa le sembianze filmiche usate da alcuni suoi colleghi, possiamo decifrare quelle ricercate da Gürcan Keltek, e subito si palesa un movimento che va dall’astrazione (i primi due capitoli mi sembra che possano definirsi tali) al concreto (con la terza parte le cose si fanno... vere), l’approccio autoriale e riflessivo lascia il posto allo scarno reale, l’orrore, oltre a scorrere sugli schermi degli smartphone (e quelle dita che fanno scivolare una foto dopo l’altra sono dita di bambini), si avvicenda anche sul nostro di schermo. Usando come segno di interpunzione delle funeree schermate nere, Keltek ci crivella di rapidi quadri che arrivano da un altro mondo: case sventrate, macerie, detriti, sciami di ragazzini, fori e fori di proiettili sulle pareti. Solo a questo punto capiamo dove siamo finiti: “quello che sento ora è la guerra. La morte è reale. C’è qualcuno qui con te e poi non c’è più. Non riguarda scrivere libri, fare film o arte. Quando la morte ti entra in casa la poesia non ha più senso”.

Si palesa una sottaciuta forza politica, una testimonianza-sul-campo che oltre ad essere proposta in maniera ammirabile acquista un’importanza storica ben sottolineata da questo articolo apparso su La Repubblica. Al di là dei telegiornali, la possibilità di scendere nella trincea della guerriglia è un evento raro, e lo è ancora di più quando la trattazione non è diretta né immediata, qui il conflitto turco-kurdo in cui precipitiamo senza rendercene conto, e che non capiremo mai davvero, è parte di un ingranaggio più grande, sebbene rimanga comunque il nodo da cui tutto si dirama e in cui tutto converge. Ma come Keltek è abile nel trasportarci dentro la tangibilità delle bombe, al contempo è altrettanto bravo nel farci allontanare da lì, ancora di soppiatto, ancora nella grana delle sue immagini sporche che, ad un certo momento, mostrano graffi luminescenti nel cielo. Non sono missili, sono meteore. Lo straordinario evento atmosferico riporta il film nel suo stato di iniziale malia, improvvisamente la guerra svanisce, la storia si apre ad un’alterità che nulla ha a che fare con i sadici giochi di potere, c’è della poesia visiva (oltre che poesia effettiva poiché Keltek ha tratto ispirazione dagli scritti di Ebru Ojen Sahin, e proprio dalla sua voce arriva l’intera parte commentata), c’è un afflato metafisico-esistenziale che eleva, che fa salire di intensità la visione (complice, anche, un ottimo comparto sonoro), e di colpo la gente, che prima doveva fare attenzione a non calpestare pezzetti di ordigni distruttivi, adesso raccoglie frammenti di corpi celesti che hanno viaggiato nell’universo.

Se mi si chiedesse di aggettivare in modo secco Meteorlar direi che è un film seducente, non ammiccante ma affascinante, il suo andamento ondivago che trasla il simbolo (e a posteriori le capre nel mirino dei cacciatori sono una rappresentazione nemmeno troppo velata) nella materia e viceversa ha nella cometa, nella scia infuocata che lacera la tela stellata, la sua effigie incendiaria. Le capre, i serpenti e quindi gli esseri umani continueranno a lottare per uno stupido predominio sotto l’occhio imperturbabile di divinità calcaree, l’altro occhio, invece, quello del cinema, rimane vigile e sempre pronto ad aprirsi, ad accendersi.

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