Nell’apertura
e qualcosa oltre di Meteorlar
(2017) fioccano delle suggestioni: figure umane si inerpicano su per
sentieri brulli e ostili, sono ombre che, per un attimo, riportano ai
tempi andati in cui Albert Serra girava ancora in bianco e nero, è
comunque solo la prima epidermica impressione perché poi, per una
decina di minuti, ci ritroviamo in un landscape-cinema che potrebbe
portare la firma di Lois Patiño, ma è, nuovamente, una
constatazione superficiale perché, fino a quando non si entra
davvero nel cuore dell’opera, non capiamo esattamente quale sia la
natura di Meteorlar:
una fiaba oscura? Un memoir filosofico? No, o almeno non solo, di
colpo si viene trascinati nell’elettricità di un qualche tumulto,
tensione, incendi, rimbombi che spaccano la notte, sembra di essere
in un film di Sylvain George. Ecco allora che utilizzando come mappa
le sembianze filmiche usate da alcuni suoi colleghi, possiamo
decifrare quelle ricercate da Gürcan Keltek, e subito si palesa un
movimento che va dall’astrazione (i primi due capitoli mi sembra
che possano definirsi tali) al concreto (con la terza parte le cose
si fanno... vere),
l’approccio autoriale e riflessivo lascia il posto allo scarno
reale, l’orrore, oltre a scorrere sugli schermi degli smartphone (e
quelle dita che fanno scivolare una foto dopo l’altra sono dita di
bambini), si avvicenda anche sul nostro di schermo. Usando come segno
di interpunzione delle funeree schermate nere, Keltek ci crivella di
rapidi quadri che arrivano da un altro mondo: case sventrate,
macerie, detriti, sciami di ragazzini, fori e fori di proiettili
sulle pareti. Solo a questo punto capiamo dove siamo finiti: “quello
che sento ora è la guerra. La morte è reale. C’è qualcuno qui
con te e poi non c’è più. Non riguarda scrivere libri, fare film
o arte. Quando la morte ti entra in casa la poesia non ha più
senso”.
Si palesa una sottaciuta forza politica, una testimonianza-sul-campo
che oltre ad essere proposta in maniera ammirabile acquista
un’importanza storica ben sottolineata da questo articolo apparso
su La Repubblica. Al di là dei telegiornali, la possibilità di
scendere nella trincea della guerriglia è un evento raro, e lo è
ancora di più quando la trattazione non è diretta né immediata,
qui il conflitto turco-kurdo in cui precipitiamo senza rendercene
conto, e che non capiremo mai davvero, è parte di un ingranaggio più
grande, sebbene rimanga comunque il nodo da cui tutto si dirama e in
cui tutto converge. Ma come Keltek è abile nel trasportarci dentro la
tangibilità delle bombe, al contempo è altrettanto bravo nel farci
allontanare da lì, ancora di soppiatto, ancora nella grana delle sue
immagini sporche che, ad un certo momento, mostrano graffi luminescenti
nel cielo. Non sono missili, sono meteore. Lo straordinario evento
atmosferico riporta il film nel suo stato di iniziale malia,
improvvisamente la guerra svanisce, la storia si apre ad un’alterità
che nulla ha a che fare con i sadici giochi di potere, c’è della
poesia visiva (oltre che poesia effettiva poiché Keltek ha tratto
ispirazione dagli scritti di Ebru Ojen Sahin, e proprio dalla sua
voce arriva l’intera parte commentata), c’è un afflato
metafisico-esistenziale che eleva, che fa salire di intensità la
visione (complice, anche, un ottimo comparto sonoro), e di colpo la
gente, che prima doveva fare attenzione a non calpestare pezzetti di
ordigni distruttivi, adesso raccoglie frammenti di corpi celesti che
hanno viaggiato nell’universo.
Se mi si chiedesse di aggettivare in modo secco Meteorlar direi
che è un film seducente, non ammiccante ma affascinante, il suo
andamento ondivago che trasla il simbolo (e a posteriori le capre nel
mirino dei cacciatori sono una rappresentazione nemmeno troppo
velata) nella materia e viceversa ha nella cometa, nella scia
infuocata che lacera la tela stellata, la sua effigie incendiaria. Le
capre, i serpenti e quindi gli esseri umani continueranno a lottare
per uno stupido predominio sotto l’occhio imperturbabile di
divinità calcaree, l’altro occhio, invece, quello del cinema,
rimane vigile e sempre pronto ad aprirsi, ad accendersi.
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