Non ho ben compreso se
Blue (2018) sia (stata) anche una video installazione (facendo
una banale ricerca immagini su Google parrebbe più che una
possibilità) o se è semplicemente un cortometraggio distribuito dalla
piattaforma online La 3è Scène, sito di contenuti filmici
patrocinato dal teatro Opéra national de Paris. Sia come sia, se la
prima ipotesi fosse quella giusta non è neanche da sottolineare come
una visione che avviene sullo schermo del proprio computer, così
decontestualizzata e miniaturizzata, snatura l’opera poiché priva
della cornice che l’autore ha pensato per lei, va da sé che anche
se parlassimo di un lavoro pensato esclusivamente per essere fruito
in modo tradizionale, la correlata proiezione youtubesca è un
tantino svilente, ma questo è un problema di tutte le volte in cui
ci portiamo il cinema nella nostra cameretta. In realtà, forse,
cerco solo di trovare degli alibi ad Apichatpong Weerasethakul perché
Blue mi ha lasciato così freddo da pensare malignamente che
se al posto di uno dei registi orientali più importanti della nostra
epoca ci fosse stato un esordiente, è plausibile che il corto in
oggetto sarebbe sprofondato nelle sabbie mobili di un qualche
Festival di categoria.
Certo l’atmosfera è
suggestiva (ma invito a dare uno sguardo ad un altro corto di “Joe”
in cui nuovamente il fuoco aveva una posizione di rilievo: Phantoms
of Nabua, 2009), d’altronde ci saremmo stupiti del contrario, e
a leggere in Rete la situazione rappresentata stuzzica: nel bel mezzo
della foresta thailandese una donna (Jenjira Pongpas, più volte
attrice per AW) non riesce a dormire, il suo stato di dormiveglia è,
si suppone, tradotto all’interno del girato in immagini, alcune
letterali come il marchingegno che alterna le tele paesaggistiche
poste di fronte al letto, altre che spingono a riflessioni più
filosofiche, finanche teoriche, perché la fiamma che arde sul corpo
della donna arde, ovviamente, altrove, per cui nell’escamotage
tecnico si spalanca l’interpretazione che riguarda l’illusorietà
della settima arte e siccome in Weerasethakul cinema fa rima con
sogno, ecco la messa in scena di una dimensione onirica in fiamme.
Sfido chiunque a dire il contrario e, se venisse detto, sarei
comunque d’accordo perché oggetti del genere sono talmente aperti
da offrire molteplici letture, spesso tale apertura acquista anche
una misura di profondità ma per chi scrive non è il caso di Blue.
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