Inizialmente
Choban (2014)
appare come una versione distorta delle visioni di René
Laloux, nello strambo contesto in cui il corpulento pastore vive si
capta un non so che di riconducibile al maestro francese,
probabilmente è lo scenario pseudo-fantascientifico a suggerire ciò,
tuttavia una volta che la cagnetta viene rapita dalla losca
organizzazione il corto salpa verso lidi decisamente più deliranti
emancipandosi così da possibili rimandi (almeno per quanto il
sottoscritto può conoscere: comunque pochino nel campo
dell’animazione). Ma andiamo per gradi: il croato Matija Pisačić
(regista, illustratore e autore di fumetti nato a Zagabria nel 1975) crea una storia a dir poco
scombiccherata che dedica a Laika, il primo cane (qui definito bitch,
capiremo poi il perché) spedito nello spazio, utilizzando come
protagonista uno strano capraio dal buffo design dotato di bastone
multitask che usa a mo’ di esploratore nei mondi creati dal suo
lievitante estro. C’è indubbiamente del disordine, ma forse è
l’inevitabile riflesso delle variegate tecniche realizzative che si
scontrano (più che incontrano) all’interno del film, la
bidimensione sembra il binario principale tuttavia Pisačić prende
ogni tanto delle brusche deviazioni ad un passo dal deragliamento,
non si può dire che il risultato complessivo sia “bello”, ma
“vivo” lo è sicuramente.
Quanto
comprendiamo (sempre ammesso che abbia senso concentrarci sui
significati in oggetti del genere) risulta essere con un po’ di
buona volontà una sorta di ritratto relativo all’artificiosità
del successo, so che Choban
andrebbe
teoricamente in altre direzioni ma chi scrive ci ha letto cotanto
sottotesto, vieppiù che in tal senso la questione si sdoppia perché
abbiamo da una parte il pastore idolo delle folle privo però di un
vero talento (che sta tutto nel bastone), e dall’altra la cagnetta
resa antropomorfa per motivi oscuri che è solo una pedina nelle mani
di un potere, entrambi finiscono per essere chi in realtà non sono,
diventano un artefatto dato in pasto al pubblico acclamante. Se nelle
intenzioni di Pisačić c’era l’idea di muoversi in siffatte
riflessioni non ci giurerei, del resto la sovrainterpretazione
critica è a volte una protesi dell’indecifrabilità, ma la corsa
adamitica del duo nel bosco suggerirebbe una liberazione dalle
alt(r)e imposizioni in favore di un futuro da percorrere mano nella
mano.
Nessun commento:
Posta un commento