Dopo The
Secret Adventures of Tom Thumb (1993)
porto alla vostra attenzione un altro oggetto animato altrettanto
sommerso e altrettanto godibile, questa volta siamo in Repubblica
Ceca ed il direttore d’orchestra, tal Jan Balej, nella terra del
più importante regista d’animazione alternativa d’Europa (…
del mondo?), Jan
Švankmajer, sembra aver recepito bene l’arte dell’asso praghese,
in Jedné noci v jednom
městě (2007)
c’è molto dei suoi lavori più famosi (le avventure dell’alberello
ricordano affettuosamente il mitico Little Otik,
2000) ma c’è anche molto, o almeno un po’, di caratura specifica
e personale, la situazione è all’incirca così: anche se non ne
abbiamo visto tutti gli esemplari, sappiamo che alcuni rami del
cinema animato servendosi della stop-motion sanno tinteggiare i film
con altri colori, più scuri, sporchi, forse anche più malinconici
rispetto alla classicità, lo sappiamo eppure quando ne incontriamo
qualcheduno sulla nostra strada il piacere di assistervi non viene
mai meno. Forse il sottoscritto parteggia troppo per prodotti del
genere in cui è fin facile rintracciare imperfezioni a iosa e, ad
essere cattivelli, assetti estetici un filo derivativi, ma c’è
poco da fare a mio avviso, opterò sempre per una costruzione della
scena così “casalinga”, fantasiosa, e, ogni volta, resterò
ammaliato dalla composizione generale che mi renderà uguale ad uno
dei personaggi del film sotto esame, felice come un fanciullo di
fronte alla propria ricostruzione circense con insetti morti.
La
conformazione dell’opera è tripartita con l’ultima porzione che
si scompone a sua volta in tre ulteriori sotto-scenette, non vi è
una connessione tra i vari episodi tanto che Balej avrebbe anche
potuto presentarli singolarmente (e magari sono stati pensati così
per poi venire assemblati solo successivamente). Sebbene non vi
sia un filo conduttore narrativo sono comunque possibili da individuare dei tratti addensanti, e sarà banale iniziare dalla tecnica
utilizzata ma il passo uno del regista piace, cioè ragazzi, è
divertente, non lesina bizzarrie e si lascia dietro una sottile
cifra macabra che Tim Burton si sogna, in subordine vi è una
tristezza agrodolce che anestetizza il film, e non è che lo
addormenti, lo fa semplicemente librare in un cielo notturno (come il
magnifico elefante nuota nell’aria stellata), lo vela di una magia
da fattucchiera dove l’incantesimo è povero ma il risultato,
all’opposto, è ricco. Ecco, una cosa che mi piace davvero tanto è
che sussiste un contrasto notevole tra la materia prima che sostanzia
la pellicola (pupazzi, marionette, oggetti quotidiani) e gli esiti
che si ottengono, ovvero il frutto di un lavoro manuale che stride
con l’imperante computer grafica e che perciò si ritaglia una
calda nicchia in cui mi acciambello volentieri. Sono cose che ho già
detto, pardon,
ma sono cose, tuttavia, così significative da farmi andare giù
anche una natura episodica non proprio bilanciata (a mio avviso la
triade di storielle conclusive, forse perché maggiormente brevi,
convince meno), di certo lo spaccato condominiale e il tenero
racconto d’amicizia tra l’albero ed il pesce esemplificano al
meglio che cosa può avere questo specifico tipo di animazione:
sicuramente un grazioso avvicendarsi di dettagli che proprio ti
riconciliano con il tuo Io ludico (le “scarpe” dell’albero!), e
poi una scorciatoia per arrivare quel tanto che basta a intravedere
un concetto di *meraviglia*
che
anche da adulti non smette di sorprenderci, ma soprattutto il suo
stare nelle retrovie, nelle cantine umide, nelle soffitte
impolverate, il suo essere diverso dagli altri o forse il suo essere,
e basta.
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