È una
minuscola pepita piuttosto sconosciuta questo The Secret
Adventures of Tom Thumb (1993) (di recensioni italiane, in Rete,
io non ne ho viste), ed è, soprattutto, la trasposizione dark
delle avventure di Pollicino, ma
l’enciclopedia favolistica lascia il posto alle weirditudini di
grandi Maestri del settore come Švankmajer o i fratelli Quay e
quindi il quadro al quale assistiamo ha tinte inconsuete, è
“strano”, striscia, ronza, frigge nell’elettricità alchemica
di un incipit davvero bello, no, non c’è niente di nuovo sotto il
sole radioattivo, abbiamo visto da mo’ l’applicazione del passo
uno ed il relativo effetto stordente, eppure, non so voi, riosservare
una simile concertazione presepiale non annoia mai, e le motivazioni
credo possano poggiarsi su un discorso che punta dritto al nucleo
artigianale che opere del genere sprigionano, nel senso, la persona
al timone del film, tal Dave Borthwick deceduto nel 2012 e supportato
qui dalla casa di produzione Bolex Brothers che non sembra avere
avuto fortuna dopo Tom Thumb, si
fa apprezzare per il suo sforzo creativo in cui sbocciano valanghe di
dettagli scena dopo scena, ed anche nel settore immaginifico non ci
si può lamentare, la fuga del protagonista dal laboratorio è una
passerella di incubi handmade
che sa colpire di più rispetto ai bestiari di registi del
perturbante con a disposizione ingenti quantità di soldi e materiale
tecnico, Borthwick, infine, inserisce dei lampi scollati dalla
traccia principale che alzano l’asticella della psichedelia (uno
folgora: il padre aureolato e appena deceduto compare in sogno al
piccolo sussurrando “i love you”). Quanto descritto confluisce in
uno stato febbrile che spinge sul grottesco (gli esseri umani,
sporchi, brutti e roaldahliani,
bofonchiano come nella serie Pingu, ma
dopo un secolo di sfrenato tabagismo) per navigare molto lontano
dalle ovvie compiacenze spettatoriali.
Dal punto di vista della scrittura si zoppica. Le avventure del
titolo risultano essere un susseguirsi di eventi costellati da
forzature, svolte improbabili (tipo: il guerriero lillipuziano va
proprio a cerbottanare due sciamannati che conoscono il padre) e
soluzioni di comodo (il suddetto padre che segue il riflesso dello
specchio, così, a caso), ma sarei davvero cieco se continuassi a
soffermarmi sui risvolti tramici che in realtà sono delle vere e
proprie inezie, non è in un lavoro del genere che il comparto
sceneggiaturiale ha un peso decisivo, semplicemente: non importa
troppo quanto accade, né il perché, sembrerà uno slogan, ma dire
che l’importante è che accada qualcosa penso sia un’affermazione
condivisibile, e ciò si deve alla certezza che comunque ci sarà
sempre del sano sudore artistico a supportare la proposta.
Mi
è piaciuto, non lo nego, mi è piaciuto perché anche se gli occhi
sono ormai ossidati dal passaggio infinito di un film dietro l’altro,
ed anche se l’oggetto in questione è proprio piccolo e quasi
indifeso rispetto ai colossi dell’animazione contemporanea, il
sentire personale deve però riconoscere che in ogni pupazzo, in ogni
insetto, in ogni creaturina che prende magicamente vita in The
Secret Adventures of Tom Thumb c’è
dietro un grande cuore, di quelli che ti fanno provare affetto anche
per un cosetto pelato dagli occhi azzurri.
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