martedì 2 giugno 2020

But You Are a Dog

Malin Erixon è la stessa artista dietro al corto Benjamin’s Flowers (2012) per cui lodi similari nell’area tecnica si possono spendere anche per But You Are a Dog (2014), in sintesi affermiamo che c’è una continuità stilistica tra le due opere grazie ad un 2D ibrido a cui non so se sono stati applicati inserti digitali ma che comunque ha una sua profondità fornita da bislacche trasparenze e fondali acquerellosi. La pasta estetica dell’opera vira su tonalità sbiadite (sia dentro che fuori il teatro) ed è proposta all’interno di una cornice sbordata che invecchia la tela, come se fosse un filmato rinvenuto in una soffitta dimenticata; la morfologia dei personaggi poi è a dir poco bislacca, poche essenziali linee disegnano goffi corpi che guardano verso l’orizzonte di Miró, uomini (ma con un flaccido seno) che Erixon equipaggia di pensieri visibili all’interno di baloon da fumetto, è la trovata più brillante perché caratterizza gli omini rendendoli facilmente riconoscibili (il logorroico, quello che vuole un caffè, ecc.).

But You Are a Dog viene definito dalla regista “a nontraditional love story” e qui, ammesso che abbia senso concentrarci sulla polpa di un prodotto che si esprime fondamentalmente attraverso la forma, si rimane qualche passo indietro. La suddetta storia riguarderebbe padrone e cane uniti al punto che il primo non riconosce lo status di animale del secondo, però diciamo che non vi è un’attenzione particolare verso questo rapporto, quando i due si siedono in prima fila per assistere allo spettacolo non accade nulla di rilevante. Anche lo show in sé (difficile definirlo “show”...), squinternato e assurdo, non ha evidenti implicazioni sugli astanti (mentre invece gli attori incontrandosi sul palco asseriscono che qualcosa è cambiato nella loro vita), una volta usciti dalla sala tutti hanno i medesimi pensieri di quando erano entrati. Bazzecole. Caruccio l’accompagnamento musicale firmato da Christofer Ahde.

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