lunedì 7 agosto 2023

Tarrafal

Tarrafal (2007), The Rabbit Hunters (2007), O nosso Homem (2010), e – forse – Sweet Exorcism (2012): ho come la sensazione, non confutabile dato che ne ho visti due su quatto, di quanto questa batteria di cortometraggi firmata da Pedro Costa sia praticamente un tutt’uno che prende, smonta, riassembla, toglie e aggiunge da un esemplare all’altro, una sorta di ponte quadripartito che collega due grandi capolavori: Colossal Youth (2006) e Cavallo Denaro (2014). Tarrafal, facente parte del film collettivo O Estado do Mundo (2007), allude ad un villaggio situato sull’isola di Santiago, Capo Verde, dove sul finire degli anni ’30 i portoghesi costruirono un campo di lavoro forzato in cui è immaginabile prefigurarsi i livelli di disumanità toccati, ma là, sopra quegli scogli di fronte al Senegal, né noi, né gli immigrati di Costa, ci metteranno piede (a parte un rapido flash di Vitalina Varela [2019], in equilibrio tra sogno e realtà) [1], l’impalpabile narrazione di Costa è sempre in Europa, in Portogallo, a Lisbona, a Fontainhas, o quel che ne è rimasto una volta che il quartiere è stato smembrato, e in effetti in Tarrafal non si sa dove siamo, sicuramente ai margini, in una periferia che non ci stupiremmo fosse a qualche chilometro dal cemento urbano, però sappiamo chi abbiamo davanti: ancora Ventura, l’invisibile che si palesa, e altri esseri umani come lui residenti al termine di una qualche notte. È il solito concerto costiano di fantasmi che vivono in baracche semibuie raccontandosi storie che non si sa bene a quale mondo appartengono perché sono loro stessi, in fondo, grazie all’occhio del regista, a sfuggire dalla realtà che comunque, poi, si manifesta cruda e incontestabile con un avviso di estradizione.

A ’sto punto non bisogna però uscire dal discorso accennato all’inizio del presente scritto, perché Tarrafal si compone di immagini e dialoghi che sono abbastanza sicuro di aver visionato anche in  O nosso Homem, non simili: proprio quelli, però, allo stesso tempo, riconosco che non si tratta di un totale copia e incolla, i due corti hanno una loro indipendenza che, e parlo nuovamente senza avere prove empiriche, li differenzia, almeno per ciò che il sottoscritto riesce a ricordare. Certo, mancando gli altri due tasselli del quartetto mi rendo conto della miopia che caratterizza le mie parole, è indubbio che se ce ne sarà la possibilità The Rabbit Hunters e Sweet Exorcism verranno esaminati in codesto luogo virtuale, tuttavia, anche così, il suggerimento è di non lasciare indietro un film di Costa, a prescindere se appartenga o meno ad una “serie”, vi perdereste uno dei migliori sguardi autoriali del panorama mondiale. 
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[1] Sì è vero, le anime perdute di Costa nella sua filmografia non torneranno mai a Capo Verde. Costa invece laggiù c’è stato, e perciò pure noi, molti anni prima quando girò Casa de Lava (1984) che, stando a questo blog americano, annovera all’interno delle scene provenienti proprio dal paese di Tarrafal, si tratterebbe di una sequenza in un cimitero e una in un ospedale. Sarà indubitabilmente così, io, nel frattempo, ho rimosso tutto.   

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