Che il lavoro di Skrobecki abbia un richiamo alla cristianità è un’interpretazione che in effetti può risultare corretta, al di là dell’evidenza del titolo, ci sono altri segnali che portano in tale direzione, uno, piccolo, è l’outfit del cameriere che assomiglia molto all’abito talare di un prete, un altro, decisamente più importante, è tutta questa faccenda dell’attesa. In apparenza c’è un cliente dentro ad un ristorante che aspetta di essere servito, ma la situazione è chiaramente una metaforizzazione di un qualcos’altro che acquisterebbe un certo senso passando per il filtro della religione. Dico che l’infinita attesa del Nostro diventa una specie di limbo purgatoriale dove espiare peccati che non conosciamo, nel momento in cui quel pesciolino rosso gli finisce in bocca, quel tempo di purificazione è terminato e, spalancando le porte del locale, un bel tramonto (paradisiaco?) si staglia all’orizzonte. Certo, mentre cammina sulle acque viene a sua volta mangiato da un mega-pesce e a ’sto punto non si sa più che pensare, però io non sono Skrobecki e al massimo posso suggerire di non pensare granché e di fruire con gusto il finale nonsense di un’ennesima pietra preziosa dell’animazione in passo uno.
domenica 27 dicembre 2020
Ichthys
Eccolo un altro corticino
smarrito nel mare tempestoso della cinematografia animata moderna,
nulla so del suo autore, di nome Marek Skrobecki nato in Polonia
(avete notato quanti prodotti del genere provengono dall’Europa
centrale? Che l’influsso di Švankmajer sia stato così potente?),
e nulla sapevo del termine “ichthys” che è la traslitterazione
dal greco antico di ἰχθύς (ovvero “pesce”), nient’altro
che l’acronimo utilizzato dai primi cristiani per indicare Gesù
Cristo. Oh oh, pare evidente che si possa leggere Ichthys
(2005) attraverso una chiave religiosa, ma prima qualche dettaglio di
massima: stop-motion e qui ci siamo, personaggi-burattini parecchio
anchilosati nei movimenti ma, per me, ci siamo di nuovo, tendenza ad
una weirditudine tipica del settore, ci siamo, ancora, quando si
rimesta nel sottile raccapriccio (l’uomo che perde pezzi di se
stesso, il pesce dalle sembianze umane). È sempre il solito discorso
per cui meriterei sicuramente di essere definito pedante, però è
ciò che sento di dire nei confronti di manifatture che mantengono
uno spirito artigianale dove ai difetti che mai mancano si appaiano
creatività e frizzante inventiva, dite che è poco? Peggio per voi,
io Ichthys, e
i migliaia di altri corti simili che probabilmente nemmeno riuscirò
a vedere, continuo a godermelo con un incanto che non cede di un
centimetro.
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