martedì 1 dicembre 2020

A Casa

C’è molto di Pedro Costa in A Casa (2012), specialmente di quel capolavoro indimenticato che è Colossal Youth (2006), sia lì che qui l’attenzione è riposta sulla sussistenza reciproca tra l’uomo (un uomo emarginato, periferico, lontano) ed il territorio urbano in cui vive, certo Alves non è Costa ma la sua idea di cinema applicata alla realtà ha del potenziale proprio perché all’interno di un reale quanto mai scarno ed essenziale riesce a carpire delle sfumature che schiudono porte significanti. Rispetto al film del 2006 A Casa diventa una sorta di riflesso rovesciato, non si tratta della demolizione di un quartiere abitato da immigrati capoverdiani, ma della costruzione di una singola abitazione da parte di alcuni manovali brasiliani, le differenze sono palesi ma c’è anche una similitudine, ovvero quella di una settima arte impegnata a raccontare un fenomeno sociale così attuale attraverso un taglio che s-centra tale topic. Sebbene le riflessioni dei muratori siano il succo della faccenda, Alves contemplando l’architettura della casa in fieri lascia quasi che le paure e le nostalgie dei lavoratori scivolino in secondo piano, nel chiacchiericcio distante, nella routine e nella fatica della professione edilizia.

Annotiamo senza alcun dubbio una lodevole maturazione del regista portoghese, anche se di poco antecedenti corti come O Jogo (2010) e 42,195 Km (2010) appartengono a zone che hanno ben poco da condividere con A Casa, il quale, se vogliamo rimane nella filmografia alvesiana, si rivela un titolo che, come potrete evincere anche solo dal nome, si lega a Casa Manuel Vieira (2013), perché al di là della trattazione sugli expat verdeoro e sulla loro difficile esistenza al di qua dell’oceano Atlantico, apprezzabile nel suo autodisinteressarsene, viene compiuto uno studio sullo spazio che, almeno per colui che vi sta parlando, esercita sempre del fascino, ed è, in soldoni, la temerarietà di piazzare una mdp nel fluire delle cose che, a volte, non fluiscono affatto e che quindi ristagnano, si dilatano e si ripetono. Non sono così arrogante da dire che questo è il cinema, piuttosto suggerisco che il cinema, per fortuna, è anche questo, e che dentro ad un cantiere edile si possono stagliare geometrici contrasti con il cielo azzurro che proprio non ti aspetteresti.

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