martedì 29 dicembre 2020

Correspondencia Jonas Mekas - J.L. Guerin

Scambio video-epistolare tra il decano degli avanguardisti americani, Jonas Mekas, ed il purtroppo non molto conosciuto regista spagnolo José Luis Guerín, le missive del primo sono oggetti piuttosto grezzi, traballanti, caotici, fuori fuoco, commentati in un inglese che starebbe bene in bocca al cowboy di un western, hanno un sapore quasi amatoriale, casalingo, di improvvisazione, ma è evidente, nel proposito di Mekas, che la patina approssimativa sia assolutamente in linea con quella che è la sua filosofia: il suo fare film, il suo riprendere, è una reazione all’esistere, praticamente una diretta promanazione; le lettere visive di Guerín sono invece più ordinate e (almeno apparentemente) più elaborate, il bianco e nero ci riporta al vagabondare di Guest (2010) tanto da pensare che molto del materiale lì non utilizzato sia stato poi riproposto in Correspondencia Jonas Mekas - J.L. Guerin (2011) senza comunque accusare alcuna ripetizione, anzi, ancora una volta Guerín esplora le potenzialità di una settima arte che è giacimento inesauribile di metodi, raccontarsi attraverso di esso, raccontare la propria professione nel riflesso disomogeneo di un collega. Pur non risultando esteticamente così complementari, le due vedute si connettono in una concettualità alta e nobile che dona un senso di insieme in cui oltre, ovviamente, all’attenzione verso il cinema, si annusano anche cose profonde e inintelligibili che stanno dentro la vita, nonché la vita tout court.

Che ora è?... sono le tre del mattino... tutta questa faccenda della realtà, della poesia [incomprensibile]... io filmo, io registro, video-registro momenti di vita intorno a me, amici, la mia vita, dettagli, che ho bisogno di registrare, e per quale ragione proprio non so cosa mi spinge a farlo, ma devo farlo, io devo solo farlo. Poi le persone, dopo, mi chiedono quale è il senso di tutto ciò, cerco di razionalizzare ma è solo un gioco, è un giocare con le parole [… o i mondi?]. Il fatto è che quello che vedi e quello che faccio sono momenti, frammenti che ho registrato con la mia videocamera esattamente come la vita procede, va avanti, così è tutto reale, ma non giro h24, filmo solo qualche momento ogni giorno o ogni secondo, così il mistero rimane: perché filmo ciò che filmo? Perché ho fatto questi quindici secondi, o uno o due minuti? E perché non di più? Così... questo è il bello della vita, noi andiamo avanti e nessuna spiegazione è necessaria, le spiegazioni sono solo parte del gioco, quello che ti sto dicendo ora è solo per tenermi sveglio, buonanotte José Luis.

Il close-up strettissimo di Mekas che proferisce il discorso sopra trascritto è il vertice della corrispondenza, del resto è presumibile che ogni regista con un minimo di coscienza ad un certo punto si sia chiesto: ma perché filmo? (e automaticamente uno spettatore altrettanto coscienzioso dovrebbe domandarsi: ma perché guardo?), il valore di un quesito così profondo e radicale non potrà essere di certo svelato da un signor nessuno come il sottoscritto, al massimo ci annotiamo delle suggestioni: Guerín filma perché segue le parole di Mekas, “i react to life”, perché la capanna di Thoreau è ancora in piedi sulle sponde del lago Walden, perché la triste storia di Nika Bohinc e del suo compagno merita di essere ascoltata all’infinito, perché anche in una normale ripresa di persone che camminano in una piazza polacca permane la speranza di poter carpire un significato superiore, perché gli occhi di Malgorata Zavinska hanno visto molto, perché anche due formiche che a fatica trascinano su per un muro un per loro enorme pezzo di qualcosa vale la pena che venga registrato. Ci sono mille pulsioni, mille spinte, mille salti in un vuoto colmato poi dagli esemplari artistici generati, nient’altro che lo specchio delle inquietudini vissute, delle muse ispiratrici agognate. Tra le righe Correspondencia ci dice di tutto questo, nel dialogo a distanza tra Mekas e Guerín si leggono i dubbi, le paure ma anche l’entusiasmo nel fare un mestiere che deve essere bellissimo, a Mekas, come in cielo, e a Guerín, così in terra, diciamo che tale mestiere, nella loro personale declinazione, è, per noi, anche stupendo da vedere.

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