venerdì 25 dicembre 2020

Technoboss

Mi piace pensare che la peculiarità musicale di Technoboss (2019) provenga da una breve scena di A Espada e a Rosa (2010) dove il protagonista dialogava con un esattore delle tasse attraverso una canzone. Questo tipo di parentesi si espande non poco nell’ultimo film di João Nicolau, però da qui a dire che la pellicola sia un musical puro ce ne passa, e parecchio. D’altronde c’era da aspettarselo, il regista lusitano è uno che ama le contaminazioni e attendersi una qualsivoglia classicità non poteva che essere una predizione errata, l’impressione che se ne desume dalle digressioni canterine è che siano una valvola di sfogo del signor Luís (interpretato perfettamente da un non professionista), momenti quotidiani non dissimili da quelli che possiamo vivere anche noi dove si canta per riempire dei vuoti che si manifestano sotto forma di tragitti automobilistici, cene casalinghe solitarie o effimeri incontri di una sera. I quesiti sono: quanto incidono le appena citate porzioni sonore nell’economia dell’opera? Sono davvero arricchenti o fungono giusto da bizzarri attributi? Si sa che il cinema di Nicolau scorre sempre sul filo del surreale e Technoboss non fa eccezione, la massiccia presenza di segmenti cantati fa da contraltare ad una vita ordinaria basata praticamente solo sulla routine lavorativa, in tal senso le performance di Luís sono significative per delineare la sua personalità, quella di un tizio vicino alla pensione alle prese con una professione sempre più computerizzata e con la voglia di affrontare gli ultimi anni in maggiore spensieratezza. Il risultato è simpatico... gradevole... frizzante... però, come intuirete, i puntini di sospensione lasciano delle perplessità, soprattutto se effettuiamo un atto sconsiderato, ovvero la comparazione con un altro film, ma che viene automatico fare.

E quindi mettendoci a paragonare il per chi scrive migliore lavoro dell’autore (John From, 2015) con Technoboss si profila un disequilibrio in termini immaginifici. Nicolau è di solito un abile tessitore di orditi che illustrano la realtà per poi imboccare svolte fantasiose di assoluto livello, qui non è che il taglio globale sia tanto diverso, per la cronaca abbiamo: pannelli pitturati ricreanti paesaggi che compaiono dal nulla sulla strada di Luís, ancora Luís che può parlare al cellulare senza aver bisogno di esso, una “buia” trasferta in Spagna allestita in modo originale, una serie di comprimari alquanto bislacchi, oltre a dettagli che vanno colti con il piacere di non farsi troppe domande (il gatto nella boccia del pesce rosso), tuttavia non si riesce a potenziare in pieno la visione realistica, le idee che costellano il girato sono sì piacevoli ma non arrivano a colorare di tinte sgargianti l’arazzo esistenziale del Nostro. Le motivazioni potrebbero essere lette all’interno della materia argomentativa trattata, forse il cinema di Nicolau aderisce meglio in un mondo infantile e/o adolescenziale teoricamente marchiato da una foga inventiva? Memori di Gambozinos (2013) il ragionamento reggerebbe anche sebbene, di contro, il già citato A Espada e a Rosa non si occupava esplicitamente di gioventù. E allora? E allora niente, Nicolau ha partorito un film leggermente al di sotto delle aspettative, nulla di grave perché l’identità artistica del portoghese rimane inalterata e poi c’è un finale positivo a conclusione della sottotraccia sentimentale che strappa un sorriso.

… e ora CONSIGLI (non richiesti) PER GLI ACQUISTI

Rimbalzo senza criterio alcuno dalla settima arte alla letteratura suggerendovi un libro uscito nel luglio 2020 (ma la prima edizione è del 1984) per Safarà Editore dal titolo 1982 Janine. Quale è il collegamento con Technoboss? In pratica è nullo, semplicemente mi è venuto alla mente perché i personaggi principali fanno lo stesso mestiere, tuttavia statemi un po’ a sentire: la scrittura di Alasdair Gray (di cui sempre Safarà qualche anno fa ha pubblicato il suo opus magnum Lanark: anch’esso consigliato, molto) qui vibra più che mai in un tour de force erotico che frulla in maniera pazzoide le fantasie sessuali e i ricordi del proprio passato (finendo per rendere indistinguibili le due istanze) di un uomo chiuso in una stanza d’albergo scozzese. Nel suo punto di massima tensione il testo esplode in ardite soluzioni topografiche che terremotano le pagine, poi si appiana prendendo una piega simil-biografica per infine uscire di nuovo dai ranghi con un dialogo, forse, divino. Una lettura che vi esorto a intraprendere, non ve ne pentirete.

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