João
Nicolau, ovvero uno dei tanti professionisti che negli ultimi lustri
hanno fatto assurgere il cinema autoriale portoghese ad ipocentro del
cinema autoriale europeo. Principalmente montatore, lo è stato per
assi come Monteiro e Gomes (senza scordare le reciproche
collaborazioni con il nostro Alessandro Comodin che vanno avanti da
anni), ma anche attore per piccole parti di alcune produzioni
lusitane recenti, oltre che direttore della fotografia e ovviamente
regista, Nicolau esordisce nel lungometraggio proprio con A
Espada e a Rosa (2010), film presentato a Venezia dalla cospicua
durata (quasi due ore e mezza) che ha scoraggiato e scoraggerà chi
ha intenzione di avvicinarvisi, del resto qui si ritrovano dei
connotati sì e no tipici che certo cinema proveniente dal Portogallo
ha proposto dagli anni ’10 in poi (Gomes ma anche molto di
Abrantes), solo che, trattandosi di un debutto, è plausibile che il
sovraccarico “da esordiente” di tematiche e approcci possa
trasformarsi per lo spettatore non avvezzo a manifestazioni di tale
portata in una fantasia surreale un po’ confusa e arrovellata su se
stessa. Chi scrive ha gradito parecchio la vitalità che serpeggia
nella pellicola, basta il divertente siparietto canoro tra Manuel e
l’esattore delle tasse a farci comprendere la trasversalità
dell’opera che è tutto fuorché mansueta e questo non può che
essere un pregio. Nel prosieguo la prismaticità si accentua, dal
Kammerspiel casalingo-solitario delle prime battute si passa ad una bizzarra
svolta salgariana a bordo di un vascello, difficile, per essere
onesti, comprendere l’operazione in toto, il sempre benedetto senso
unificante appare come una chimera non facilmente raggiungibile,
tuttavia proferisco: amen!, il vibrante pastiche che Nicolau edifica
vale più degli eventuali significati in esso contenuto.
Sono fresco
della monumentale lettura di Contro il giorno (riedito da
Einaudi nel maggio ’20) e pertanto la magmatica penna di Pynchon
potrebbe aver influenzato il ragionamento che segue: ci starebbe un
parallelo tra i Compari del Caso del romanzo americano e la ciurma
che popola la caravella di Nicolau, non mi riferisco tanto a dei fini
comuni, anche perché in tutta onestà non ho ben capito cosa faccia
l’equipaggio del film oltre a solcare i simbolici mari
dell’esistenza, quanto ad una simile realtà finzionalizzata che
abitano. Nel senso, entrambi i racconti, seppur con le dovute
distinzioni, con modalità variegate trascendono la storia e quindi
il tempo, ma anche in merito allo spazio non si scherza, se
l’aeronave di Pynchon viaggia sotto la sabbia del deserto, la nave
di Nicolau svanisce nel nulla da un fotogramma all’altro. Ciò che
voglio rimarcare affiancando Contro il giorno ad un film che è
stato realizzato in altri contesti di pensiero riguarda la cifra
postmoderna che sostanzia A Espada e a Rosa,
è infatti sotto e negli occhi di chiunque lo vedrà che si è al
cospetto di un oggetto multidisciplinare il quale si avvale di
registri diversi (c’è perfino dello stop-motion o simil tale)
per ottenere un’organicità, un’armonia, un’unitarietà a cui
affibbiare tutti i sinonimi di “bislacco” che volete. Ecco allora
il (forse) tratto addensante: la postmodernità (?). Capisco che può
apparire arduo a volte, se fino allo pseudo-ammutinamento
l’attenzione è abbastanza viva nonostante il venir chiamati a
rispondere di situazioni che spaziano dalla (fanta)scienza (ordunque, che cosa è il Plutex?) alla filosofia o alla cosmologia, il
reclutamento (o rapimento?) dei nuovi membri spinge sull’acceleratore
della stranezza dipingendo un quadro astratto con tanto di santone
(uno... e trino, sarà un caso?) che professa cose non troppo
stuzzicanti, però, bypassando le complicazioni nello stringere un
feeling con la proiezione, A Espada e a Rosa ritengo
possegga un suo valore intrinseco perché è un prodotto di valore,
originale, pieno di soluzioni estetiche intriganti e ancora vivo
nonostante i dieci anni e passa sul groppone, oltre che uno
estrinseco perché è l’alfiere di un movimento che di lì a poco
sarebbe definitivamente decollato con Tabu
(2012).
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