D’istinto
verrebbe voglia di mandare al diavolo Aleksandr Zeldovich, non tanto
per la lunghezza di Moskva
(2000) quanto perché all’interno di essa si diffonde inarrestabile
un senso di inconcludenza che semina perplessità, troppo vacuo per
poter lasciare un segno, strampalato sebbene non abbastanza per poter
rendersi memorabile in tale direzione. Le impressioni a caldo
prendono questa china e, se ciò ha un valore, anche leggendo due
brevi commenti sul sito FilmTV.it (link) gli utenti non le hanno
mandate a dire al regista russo: “un
film noioso che mi ha comunicato una quasi insopportabile arroganza
di pretendere di raccontare una città”
e “Estenuante
viaggio spesso di difficile interpretazione (se non altro perché ci
si perde fra alcool vario e Storia poco entusiasmante oltre che
pesante e lunga)”,
difficile essere in disaccordo con le due citazioni se non che
durante la visione quel minimo di esperienza cinefila in cui posso
dilettarmi ha allertato le percezioni: è tutto vero, Zeldovich ha
fatto un film pesante che si fa fatica a seguire visto lo scarso
appeal, ma la domanda è: pesante per chi? In sincerità ritengo che
la pesantezza in oggetto abbia una cifra differente a seconda del
passaporto dello spettatore, la mia supposizione trova una piccola
conferma nel pensiero di un altro utente, ’sta volta di IMDb
(ri-link), il quale dice che “la maggior parte delle battute e
delle situazioni potrebbero non essere capite da un pubblico non
russo” e poi “i dialoghi sono brillanti ma non riesco ad
immaginare come possano essere tradotti adeguatamente”. Sai che
novità, penserete, però tacciare di bruttezza un’opera solo
perché non la si comprende mi sembra un atto intellettualmente
limitato, ribadisco: Moskva
è ostico e nel suo vorticare a vuoto pare prendersi gioco di chi
assiste, ma è altrettanto vero che Zeldovich sotto la cortina di
nonsense ha delle cose da esprimere anche per noi europei, o forse
soprattutto per noi europei.
Il
film potrebbe anche essere un bizzarro preludio di Target
(2011),
il lavoro successivo focalizzato in egual modo su una Russia alle
prese con l’alterità geografica circostante (e una miriade di
altre robe, Mishen
è un complesso massimalista come pochi altri nell’ultimo
decennio), poiché Zeldovich, sempre accompagnato dalla penna di
Vladimir Sorokin, allestisce a modo suo l’analisi di un Paese in
transizione diviso tra il passato ed il futuro, non a caso l’incipit
all’interno del club metaforizza la questione con la scelta su cosa
la famiglia debba prendere da bere, se una vodka o una Coca-Cola,
idem in un divertente regolamento di conti dove il pestaggio di un
tizio nel magazzino di un supermercato viene punteggiato dagli
stacchi della mdp su prodotti alimentari d’importazione come un
panettone milanese. Dato l’anno di produzione è chiaro che
nell’intento dell’autore l’idea di tradurre un paesaggio
temporale così epocale fosse più di un cruccio, probabilmente una
vera necessità in cui riversare lo smarrimento a scalare di una
popolazione partendo dalla famiglia (non è proprio chiarissimo ma
il nucleo consanguineo pare abbia qualche
disfunzione relazionale) passando per la città (che in realtà
vediamo solo una volta per bene, quando il socio di Mike porta la
sorella inebetita sul battello) e giungendo alla Nazione.
Che
ogni aspetto fili liscio non lo si può affermare a cuor leggero, a tratti il
comportamento dei personaggi in scena tange l’irritazione al pari
della sezione gangsteristica che ci arriva priva di fondamenta, ci
sono intrallazzi, mafiosetti, soldi spariti e via dicendo, se sulla
carta risulta interessante, assicuro che il correlato dispiegamento
filmico così invischiato in una concertazione surreale non lo è
affatto. Sorvolando
sui suddetti passaggi (che occupano gran parte della pellicola), per
dare a Zeldovich i suoi meriti si può dire che il finale possiede un
discreto impatto visivo (finanche simbolico forse) che giustamente
campeggia sulla locandina, e al coraggioso che mai arriverà fino in
fondo chiedo di non fermarsi alla sterile diade noioso/non noioso, il
metro di giudizio applicabile sonda altri termini di riferimento che
probabilmente non conosciamo, superato lo smarrimento può essere una
delle tante occasioni che il cinema russo mette a disposizione:
accedere, seppur di sfuggita, nello sconfinato universo di uno Stato
così vicino così lontano. Io non la ritengo una sciocchezza.
Nessun commento:
Posta un commento