Che energia
questo cortometraggio del 2014!, disordinato e feroce presenta una
storia che si confonde nella mente del soggetto principale a sua
volta luogo di proiezione: grande merito all’artista Frank Ternier,
nato a Tours nel 1975, per l’allestimento grafico, un patchwork
associante differenti tecniche realizzative che ben traducono lo
stato febbrile dell’uomo francese protagonista di una vicenda
cifrata in un dramma latente, per nulla esposto se non attraverso
riusciti flashback di pronunciata violenza e diluito in un’ossessione
incalzante, maniacale, quasi compulsiva. 8 balles è una
scheggia se non proprio impazzita del panorama animato (perché
comunque si immagina che di prodotti così confezionati ce ne siano a
iosa), sicuramente ben conficcata nella tenera carne spettatoriale
una volta visionata, un oggetto esteticamente proteiforme che ha una
natura altrettanto variegata sul versante narrativo poiché la
componente affabulatoria si moltiplica nelle voci extra ed
intradiegetiche.
Al solito,
il fascino esercitato su chi scrive è dato da un mischiare le carte
ad oltranza, è, essenzialmente, la complessità di una composizione
per nulla certa, ma aperta: il cuore del guardare non è situato
nell’effettività degli eventi quanto nella possibilità di
ricostruirli da parte nostra e di poter fornire, soprattutto, un
grado di significazione che magari non c’entra nulla con le
intenzioni del regista di turno ma che in virtù dell’accessibilità
sopraccitata si impreziosisce grazie ad un progressivo ventaglio
semantico. Io, ad esempio, nel tormento del padre verso il pesce
rosso e l’odore di fritto, ci ho visto alla lunga un abisso
esistenziale impeciato in una tragedia ancora più grande, quella di
un omicidio (della propria figlia) seguito da un suicidio.
Supposizioni senza evidenza di riscontro, lasciamo allora che
l’epitaffio conclusivo schiuda gli atri titoli di coda: “siamo
tutti morti?”
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