giovedì 27 agosto 2020

Green Screen Gringo

In pratica Douwe Dijkstra, videoartista olandese classe ’84, utilizza uno green screen, ovvero uno di quei pannelli verdi che permettono di rielaborare immagini e video in fase di post-produzione sostituendo, sovrapponendo, affiancando e così via, per incapsulare la caleidoscopicità di uno stato gigantesco come il Brasile pieno di cose incredibili e di cose incredibilmente ingiuste. Il regista si “limita” a San Paolo ok, ma la metropoli è un po’ sineddoche della nazione per cui nei sedici minuti di Green Screen Gringo (2016) c’è quanto ci si può aspettare di trovare quando si parla della sfaccettata realtà carioca. Forse più che una carrellata socio-esistenziale ciò che emerge è una sequenza di luoghi comuni che non accendono più di tanto l’attenzione, è anche vero però che alla base il titolo indirizzava il corto proprio qui, in un tour visto con gli occhi di uno straniero (il gringo), cosa effettivamente avvenuta visto che Dijkstra ha soggiornato a lungo a San Paolo per portare a termine il proprio lavoro. Quello che viene proposto è un Brasile segnato dall’instabilità politica (si certifica un cambio presidenziale) ma allo stesso tempo vivo e folkloristico (le immagini degli indigeni autoctoni e di un transessuale).

Messa in questo modo il film parrebbe parecchio scarico, e concordo con l’impressione, a dare una leggera spinta ci pensa il sopraccitato impiego dello green screen. Vediamo proprio il telo verde sorretto da mani anonime che si pone sullo sfondo della vita che scorre, lo step successivo per il regista è di mischiare letteralmente la realtà che ha davanti la videocamera con gli inserti virtuali proiettati in chroma key. È un procedimento ludico in cui Dijkstra si diverte a disorientare lo sguardo dello spettatore perché a tratti i contorni della sovrapposizione sono evidenti (si veda quando viene piazzato il trans nel museo) ma in molte altre situazioni le immagini combaciano quasi alla perfezione e se non si sta davvero col muso attaccato allo schermo tutto sembra concretamente nel quadro. Oltre l’aspetto giocoso nell’idea di Dijkstra si legge, forse, anche un tentativo di rendere traboccante la vivacità dell’universo brasiliano, di essere ubiqua, in netta contrapposizione con la cronaca del presente, e non è un caso allora che quando si esplicitano resoconti politici, che siano in una conversazione telefonica o in un video su Youtube, non viene impiegato alcun effetto speciale.

Al netto di un potenziale non del tutto espresso (è l’eterno problema dei cortometraggi, salvo poi rimangiarci tutto quando di un lungo si dice che poteva essere compresso in un minutaggio minore), le collisioni ottiche di Green Screen Gringo risultano perfino piacevoli perché non immediate (guardatelo due volte e ne scoprirete di nuove), resta, ad ogni modo, un oggetto che non spicca e che si volatilizzerà abbastanza in fretta dalla vostra memoria.

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