In pratica
Douwe Dijkstra, videoartista olandese classe ’84, utilizza uno
green screen, ovvero uno di quei pannelli verdi che permettono di
rielaborare immagini e video in fase di post-produzione sostituendo,
sovrapponendo, affiancando e così via, per incapsulare la
caleidoscopicità di uno stato gigantesco come il Brasile pieno di
cose incredibili e di cose incredibilmente ingiuste. Il regista si
“limita” a San Paolo ok, ma la metropoli è un po’ sineddoche
della nazione per cui nei sedici minuti di Green Screen Gringo
(2016) c’è quanto ci si può aspettare di trovare quando si parla
della sfaccettata realtà carioca. Forse più che una carrellata
socio-esistenziale ciò che emerge è una sequenza di luoghi comuni
che non accendono più di tanto l’attenzione, è anche vero però
che alla base il titolo indirizzava il corto proprio qui, in un tour
visto con gli occhi di uno straniero (il gringo), cosa effettivamente
avvenuta visto che Dijkstra ha soggiornato a lungo a San Paolo per
portare a termine il proprio lavoro. Quello che viene proposto è un
Brasile segnato dall’instabilità politica (si certifica un cambio
presidenziale) ma allo stesso tempo vivo e folkloristico (le immagini
degli indigeni autoctoni e di un transessuale).
Messa in
questo modo il film parrebbe parecchio scarico, e concordo con
l’impressione, a dare una leggera spinta ci pensa il sopraccitato
impiego dello green screen. Vediamo proprio il telo verde sorretto da
mani anonime che si pone sullo sfondo della vita che scorre, lo step
successivo per il regista è di mischiare letteralmente la realtà
che ha davanti la videocamera con gli inserti virtuali proiettati in
chroma key. È un procedimento ludico in cui Dijkstra si
diverte a disorientare lo sguardo dello spettatore perché a tratti i
contorni della sovrapposizione sono evidenti (si veda quando viene
piazzato il trans nel museo) ma in molte altre situazioni le immagini
combaciano quasi alla perfezione e se non si sta davvero col muso
attaccato allo schermo tutto sembra concretamente nel quadro. Oltre
l’aspetto giocoso nell’idea di Dijkstra si legge, forse, anche un
tentativo di rendere traboccante la vivacità dell’universo
brasiliano, di essere ubiqua, in netta contrapposizione con la
cronaca del presente, e non è un caso allora che quando si
esplicitano resoconti politici, che siano in una conversazione
telefonica o in un video su Youtube, non viene impiegato alcun
effetto speciale.
Al netto di
un potenziale non del tutto espresso (è l’eterno problema dei
cortometraggi, salvo poi rimangiarci tutto quando di un lungo si dice
che poteva essere compresso in un minutaggio minore), le collisioni
ottiche di Green Screen Gringo risultano
perfino piacevoli perché non immediate (guardatelo due volte e ne
scoprirete di nuove), resta, ad ogni modo, un oggetto che non spicca
e che si volatilizzerà abbastanza in fretta dalla vostra memoria.
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