René
(2008) è un breve viaggio nella solitudine di un uomo, sai che
novità direte voi, e in effetti non posso che accodarmi in parte a
tale dichiarazione se non che ad una materia oltremodo usurata dal
cinema e da molte altre forme d’arte corrisponde un metodo
divulgativo bello pimpante. E di questo non c’è da stupirsi troppo
perché René
risulta inevitabilmente l’antipasto di Aloys
(2016) sotto più di un aspetto, anche qua al centro della storia c’è
una persona che non solo è abbandonata a se stessa ma che ha anche
la percezione di sentirsi così e perciò il suo io è intimamente
autunnale, rassegnato e malinconico tanto che ad un certo punto è proprio lui a dire di non essere né cattivo né buono ma forse semplicemente
neutrale. In una traiettoria di mestizia e di capi chini si inserisce
la visione di Tobias Nölle che è un discreto toccasana capace di
far dribblare al film le pastoie della convenzionalità, è in
situazioni del genere che la settima arte, seppur con i limiti del
caso, si mette a servizio dell’immaginazione e lo spettatore,
sempre entro i limiti sopraccitati, ne può trarre beneficio. Di che
tipo? Be’, perlomeno fruendo di una leggerezza accessoriata di una
fine ironia che comunque non disdegna la conduzione in luoghi umani
ampiamente conosciuti, a rimorchio dell’ibridata disinvoltura
arriva una gradita modulazione dei tempi narrativi, buona verve,
vivacità e piglio ingegnoso (la faccenda della finestra disegnata
sul muro ha una sua poesia).
Non
male poi il livello di scrittura adottato per esporci i pensieri del
protagonista, è sicuramente un’altra tacca a favore di Nölle che
lo eleva dalla bassa manovalanza. Quindi le assonanze in positivo con
Aloys sono ben
riscontrabili, e se vogliamo fare le pulci al regista svizzero ecco
che anche per quanto riguarda le cose che vanno meno vi è una certa
aderenza, chiaro che nel lungometraggio per via di un’impostazione
dal maggior respiro si notava di meno, però concentrandoci
esclusivamente sull’intreccio si nota soprattutto in René
una mancanza di equilibrio tra
le premesse (stuzzicanti in ambo i casi) e accadimento dei fatti,
ovvero la medicazione, o il tentativo, dell’ancestrale isolamento.
Ad esempio nell’opera del 2008 viene dedicata una larga descrizione
allo stato esistenziale del ragazzo e giusto sei-sette minuti alla
riabilitazione personale grazie all’incontro con il vecchio
Manfred. Il cambio di prospettive (attestato dal finale in cui René
si lancia in un “buongiorno”) decisamente importante è gestito
con fare precipitoso, il contadino salva il Nostro, fanno amicizia,
si aiutano a vicenda fino al triste epilogo, tutto compresso in un
tempo ridotto che finisce per scaricare la portata del messaggio, e
visto che già siamo piuttosto saturi di messaggi nel cinema, che
almeno ci vengano offerti in maniera sostenibile. Quanto detto non fa
tuttavia scemare la curiosità verso Nölle, anche se il curriculum è
ancora scarno è già stato schedato, lo terremo d’occhio.
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