mercoledì 2 settembre 2020

René

René (2008) è un breve viaggio nella solitudine di un uomo, sai che novità direte voi, e in effetti non posso che accodarmi in parte a tale dichiarazione se non che ad una materia oltremodo usurata dal cinema e da molte altre forme d’arte corrisponde un metodo divulgativo bello pimpante. E di questo non c’è da stupirsi troppo perché René risulta inevitabilmente l’antipasto di Aloys (2016) sotto più di un aspetto, anche qua al centro della storia c’è una persona che non solo è abbandonata a se stessa ma che ha anche la percezione di sentirsi così e perciò il suo io è intimamente autunnale, rassegnato e malinconico tanto che ad un certo punto è proprio lui a dire di non essere né cattivo né buono ma forse semplicemente neutrale. In una traiettoria di mestizia e di capi chini si inserisce la visione di Tobias Nölle che è un discreto toccasana capace di far dribblare al film le pastoie della convenzionalità, è in situazioni del genere che la settima arte, seppur con i limiti del caso, si mette a servizio dell’immaginazione e lo spettatore, sempre entro i limiti sopraccitati, ne può trarre beneficio. Di che tipo? Be’, perlomeno fruendo di una leggerezza accessoriata di una fine ironia che comunque non disdegna la conduzione in luoghi umani ampiamente conosciuti, a rimorchio dell’ibridata disinvoltura arriva una gradita modulazione dei tempi narrativi, buona verve, vivacità e piglio ingegnoso (la faccenda della finestra disegnata sul muro ha una sua poesia).

Non male poi il livello di scrittura adottato per esporci i pensieri del protagonista, è sicuramente un’altra tacca a favore di Nölle che lo eleva dalla bassa manovalanza. Quindi le assonanze in positivo con Aloys sono ben riscontrabili, e se vogliamo fare le pulci al regista svizzero ecco che anche per quanto riguarda le cose che vanno meno vi è una certa aderenza, chiaro che nel lungometraggio per via di un’impostazione dal maggior respiro si notava di meno, però concentrandoci esclusivamente sull’intreccio si nota soprattutto in René una mancanza di equilibrio tra le premesse (stuzzicanti in ambo i casi) e accadimento dei fatti, ovvero la medicazione, o il tentativo, dell’ancestrale isolamento. Ad esempio nell’opera del 2008 viene dedicata una larga descrizione allo stato esistenziale del ragazzo e giusto sei-sette minuti alla riabilitazione personale grazie all’incontro con il vecchio Manfred. Il cambio di prospettive (attestato dal finale in cui René si lancia in un “buongiorno”) decisamente importante è gestito con fare precipitoso, il contadino salva il Nostro, fanno amicizia, si aiutano a vicenda fino al triste epilogo, tutto compresso in un tempo ridotto che finisce per scaricare la portata del messaggio, e visto che già siamo piuttosto saturi di messaggi nel cinema, che almeno ci vengano offerti in maniera sostenibile. Quanto detto non fa tuttavia scemare la curiosità verso Nölle, anche se il curriculum è ancora scarno è già stato schedato, lo terremo d’occhio.

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