Ok, letta così la questione parrebbe tangere la dimensione del trash e in effetti non si va tanto lontano, il salvagente che mantiene a galla Olenick è fornito da un elemento che differenzia sempre i prodotti di serie B del passato dagli omaggi del presente: la consapevolezza, qui non si gira per scioccare ma per citare un cinema che voleva scioccare e che ora rimane al massimo un simpatico reperto archeo-cinematografico. Poi senza dubbio Olenick ci va giù pesante con gli accorgimenti tecnici e qualcosa riesce a smuovere, ad esempio la sconnessione temporale vivacizza e interroga (sembra ci siano due vittime ma non è per nulla chiara la progressione degli eventi), così come l’impianto visivo che avvalendosi di costanti zoom e triplopie allucinate si sa distinguere, e non di poco, dalla massa. Certo è che Red Luck non è un corto “bello” nel senso aggraziante del termine, non lo è perché è principalmente settato per respingere lo spettatore (dimenticavo: le frequenze utilizzate simili ad acuti ronzii sono al limite del fastidio, cosa suppongo desiderata e ottenuta), involuto in se stesso, nel suo mondo, nei suoi (bassi) riferimenti artistici, tuttavia, per quanto possa valere, ha spinto chi scrive ad una duplice visione, l’una a distanza di qualche giorno dall’altra, e pur non certificandone l’assoluta bontà dell’operazione qualche pensiero, almeno a me, l’ha evidentemente stimolato.
Il Metaverso - Roberto Paracchini
4 ore fa
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