In tutto ciò la granulosità delle immagini è il puntuale corrispettivo di quanto viene ripreso, sono immagini-minerale, immagini-piroclastiche, immagini depositate, sedimentate, antichissime e nuovissime all’unisono. Il processo messo in atto da Guerín, l’esplorazione storica che di storico non ha poi molto, possiede almeno due punti che combaciano con il precedente Le Saphir de Saint-Louis (2015), il primo è meramente informativo perché anche De una isla nasce da una commissione (si tratta di una richiesta da parte della Fundación César Manrique), il secondo si sostanzia invece nell’ultima inquadratura, una morbida regressione che allarga panoramicamente la visuale giocandoci uno scherzetto: da dove proviene, o meglio dove va questa marea di pietra che sembra quasi traboccare nella stanza spoglia? Va dritta nel senso del cortometraggio che è una dedica a César Manrique, un architetto e artista nato ad Arrecife che grazie ai suoi contributi ha dato un nuovo volto a Lanzarote (ed è altamente plausibile che De una isla si chiuda proprio su una sua creazione). Non ci sarà la centralità del dipinto di Le Saphir..., però Guerín riesce comunque a coniugare un’istanza artistica altrui con quella che gli appartiene incanalando il flusso filmico in uno scrigno visivo che per tecnica e tematiche affrontate si ammira sempre con piacere. Al solito, inappuntabile.
mercoledì 9 dicembre 2020
De una isla
Non è un
mistero che José Luis Guerín ami il cinema degli albori, quello
muto di inizio novecento, non a caso uno dei suoi lavori più belli,
Tren de sombras (1997), è
proprio un omaggio a quel periodo, e ora, dopo un paio di anni in cui
aveva esplorato altri territori, in De una isla
(2019) ritorna a sperimentare con il bianco e nero che attraverso
opportuni trattamenti chimici sembra arrivare da un’opera di un
secolo fa, però, come sempre, si capisce, si comprende che questo,
nonostante un impianto sonoro di archi e pianoforti che a sua volta
si rifà alla tradizione dei silent film, sia un oggetto
perfettamente contemporaneo che integra registri e stili diversi, che
evoca un passato, che fantasmatizza il presente, che si perde in una
bruma onirica suadente. Siamo a Lanzarote, quindi non lontano dalle
location di un altro ottimo corto come Sin Dios ni Santa
María (2015), e Guerín,
seguendo lo spirito del sottotitolo “un dramma geologico”, espone
la genesi di quest’isola a due bracciate dall’Africa, la
narrazione che ne consegue non è di certo rigida ma si diluisce in
una nebbia da dove emergono gli elementi che fanno di Lanzarote ciò
che Lanzarote è: uno scoglio magico fatto di rocce e piante tenaci,
un luogo misterioso che il regista spagnolo alimenta con la sua
stessa mitologia parlando di esploratori genovesi che le diedero
l’attuale nome o di principesse che in un tipico cortocircuito
gueríniano compaiono nello schermo scardinandoci gli occhi e la
mente.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento