giovedì 31 dicembre 2020

Liberté

Liberté (2019) è l’ultima suggestione franco-settecentesca di Albert Serra che va così a comporre un’eterogenea trilogia iniziata nel 2016 con The Death of Louis XIV e proseguita nel 2018 con Roi Soleil (volendo potrebbe anche essere una quadrilogia se annettiamo Story of My Death, 2013), affrontati i lavori precedenti tocca avvicinarsi al più recente: accidenti, è un Serra davvero ostico quello che ci troviamo davanti, se nei film passati c’erano dei segnali concettuali che si ripetevano e degli studi più o meno evidenti su materie intra ed extra-cinematografiche, Liberté, nomen omen che ci dice già abbastanza della direzione voluta dal regista, scorrazza, appunto, libero in una dimensione notturna dove accade una cosa alquanto curiosa: la pellicola, che illustra uno spaccato di libertinismo, è praticamente obbligata a instradarsi verso un erotismo, se non proprio una pornografia, che nell’ottica sadiana non ha freni, eppure la visuale del catalano ci restituisce un’atmosfera che non ha niente di pruriginoso, pur mostrando, e anche tanto, la carica sessuale è pressoché azzerata, in questo bosco che come viene asserito nella recensione di Sentieri selvaggi (link) pare l’antesignano di una moderna dark room, i protagonisti deambulano circospetti tra le frasche, paiono delle creature un po’ spaesate mosse da istinti bislacchi, non è che non vi siano parentesi di carnalità, tutt’altro, pissing, BDSM ante litteram e via dicendo sono presenti nell’album delle depravazioni, il fatto è che Serra non le esibisce, il suo occhio non è ostensivo, non è voyeuristico, paradossalmente è maggiormente interessato a osservare... chi osserva, infatti Liberté ama soffermarsi sugli sguardi dei personaggi senza offrire un chiaro controcampo di ciò che vedono, complice la sempre dogmatica scelta di affidarsi alle luci naturali o simil tali, scorgiamo al massimo qualcosa (due chiappe, un viso deturpato, una tetta, un pene [1]), parti di un intero che rimane oscuro.

Sì, simbolicamente l’idea di un’oscurità che ci impedisce di comprendere appieno l’opera mi garba assai perché del resto chi desidera la chiarezza della luce solare? Indubbiamente né noi né le varie Madame e i vari Duca a cui Serra fornisce un allestimento che verrà ricordato (le portantine), nonché l’unico perché il set è completamente naturale (consiglio la visione con le cuffie per godere del costante respiro boschivo che avvolge ogni cosa), lo spazio nemorale è una sorta di grembo che accoglie queste anime all’incirca eccitate intente in pratiche sì sovversive ma pur sempre clandestine, recintate, chiuse in un luogo che li protegge dal mondo, l’impressione è che sia una follia che può esistere soltanto nel buio, non a caso, con il sorgere dell’alba, non ci sarà più nessuno dei soggetti imparruccati con cui siamo stati a stretto contatto per due ore e passa, l’ultima immagine che si ha di loro è di Lluís Serrat, uno che a loro non appartiene poiché essendo attore feticcio di Serra risulta un corpo estraneo che trascende la narrazione già rivolto alla prossimo titolo, che si guarda intorno confuso, poi solo alberi timidamente illuminati. Un buon numero di commenti in Rete sottolinea di come Liberté dica di una rivoluzione impossibile, di un manipolo di dissoluti che non potranno cambiare alcunché nel corso della storia, io mi accodo annotandomi il percorso di un Serra sempre pronto a mettere in difficoltà lo spettatore, e la cosa, detto tra noi, mi piace molto. 

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[1] A proposito di organi genitali, uno dei nobiluomini che bazzica la scena utilizza una specie di dildo per soddisfare le sue fantasie. Il che, vista l’ambientazione, ricorda alla lontana il membro parlante di Marquis (1989). 

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