mercoledì 14 agosto 2019

The Babushkas of Chernobyl

Di produzione e direzione completamente americane (alla regia ci sono due donne dall’esiguo curriculum filmico, Anne Bogart ed Holly Morris), The Babushkas of Chernobyl (2015) si occupa di renderci edotti sulla condizione di alcune vecchiette ritornate a vivere nei pericolosissimi dintorni dell’infausta esplosione avvenuta nel 1986, prima di preoccuparvi inutilmente sulla salute delle suddette vi anticipo che è tutto ok, le babushke del titolo (ovvero le attempate signore protagoniste [1]) stanno molto bene nonostante il terreno che calpestano, l’aria che respirano e l’acqua che bevono non siano esattamente “salutari”, e il documentario in sostanza è sintetizzato in tale concetto, è una storia illustrata che delinea un paradosso esistenziale: in un luogo avvelenato, mortifero, cimiteriale, delle persone continuano serenamente la propria vita, tanto che, come sottolinea un militare, statisticamente sono maggiori i decessi di chi non è più tornato nella dead zone rispetto a coloro i quali hanno deciso di rimpatriare. C’è, o ci sarebbe, della poesia, ma il taglio scelto dalle due registe è frenato da un mood non abbastanza autoriale per poter toccare quell’intensità che potenzialmente avrebbe, di sicuro, per il mio intendere cinematografico, avrei eliminato le parti esplicative con i vari esperti del settore poiché così facendo la dimensione a cui il lavoro si avvicina è più televisiva che artistica, ma va bene uguale, nessuno urlerà allo scandalo.

Rimangono i ritratti di questi tenaci donnoni infoulardati (ne avevamo visti di simili in un film folle di molto tempo fa: 4, 2004), della loro vita semplice e perfino felice nonostante siano pressoché sole al mondo (i mariti sono tutti morti), e ciò che meraviglia è la noncuranza nei confronti delle radiazioni nocive che aleggiano intorno, un’indifferenza che le rende ai nostri occhi delle donne simbolo di una prode resistenza verso un nemico invisibile, però, nonostante le buone intenzione, Bogart & Morris potevano dare di più allo spettatore, in fondo parliamo di un film molto didattico la cui composizione non riesce a restituire totalmente il senso di umanità che invece custodisce, ed essendo un prodotto pendente verso l’esplicativo anche il materiale antropologico viene esposto sottoforma di depliant quando, al contrario, si poteva puntare su registri ibridati per cogliere nel reale tutto quell’incredibile slancio narrativo che si annida al suo interno. Comunque, The Babushkas of Chernobyl ha un grande pregio, quello di mostrarci la stolidità di alcuni ragazzi che emulando le gesta di un videogioco e riprendendosi con una GoPro (le immagini originali vengono alternate al resto dell’opera) si sono introdotti nottetempo nelle aree interdette a chiunque sollevando una domanda davvero semplice: ma perché?
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[1] Come non ricordare la babushka più famosa al mondo proprio perché totalmente sconosciuta? Per ulteriori info clicca qui.

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