
Toh, chi si
rivede: Chris Lavis e Maciek Szczerbowski, gli autori di Madame Tutli-Putli (2007) e Higglety Pigglety Pop! or There Must Be More to Life (2010) escono dalla
dimensione fiabesca per inoltrarsi in quella fantascientifica, alt!,
facciamo ordine: in Cochemare
(2013) l’apporto animato è presente, meno stop-motion (forse c’è
solo quando entrano in scena i mostriciattoli alati) e più computer
grafica, ma soprattutto grande novità con l’introduzione di una
parte in live action, carne, ossa e lacrime fluttuanti. Rispetto ai
due corti precedenti questo mi parrebbe maggiormente vicino ad un
pubblico in cerca di un prodotto “strano” e non dico un prodotto
“adulto” perché le tematiche affrontate in passato erano
comunque di peso. Qui, inaspettatamente, emerge una certa attenzione
verso l’archetipo femminile e verso la sua enigmatica sessualità,
per inscenare una tale tensione i registi contrappongono due scenari
il cui collegamento sta a noi (la donna in negativo è l’avatar
dell’astronauta? Scommetterei di sì), la differenza di set è
evidente, non lo è altrettanto il perché di una siffatta
impostazione; è la prima volta - se non erro - che Lavis &
Szczerbowski lasciano uno spazio così libero all’interpretazione,
il che, a me, va così bene da accettare la possibilità di un
non-obbligo a dare per forza un senso a ciò che si è visto, di
Cochemare si può
anche godere l’aspetto estetico senza necessariamente rintracciarvi
un sottotesto.
La
foresta immersa in un magico pulviscolo è realizzata in maniera
rimarchevole, il connubio tra 3D e non so quale altra tecnica dona
una profondità visiva, una lucentezza umida, una sgargiante varietà
di forme e colori che non sono affatto male, se al posto della
divinità muliebre ci fosse stata Björk con Gondry alla regia
avremmo avuto un altro bel videoclip da tramandare ai posteri.
L’inserimento dei demoni insieme all’interesse in dettaglio nei
confronti delle lumache, al loro corpo molle e viscido, fornisce
inoltre al film un’atmosfera che, con le dovute proporzioni, arriva
dritta dritta dalle enciclopedie di Švankmajer o dei gemelli Quay.
La quota realistica dentro la stazione spaziale rientra un po’ nei
ranghi dell’ordinario, non siamo in una produzione hollywoodiana e
bisogna stare al gioco che quella stanza con oblò, pannelli
elettrici e circuiti siano davvero gli interni di una navicella persa
nell’universo, e io, senza pentimento alcuno, al gioco ci sono
stato e di Cochemare conserverò
un valido ricordo per la commistione weird-sci-fi che mi ha proposto,
light bonus erotico compreso. In quanto alla coppia di autori
ribadisco il desiderio espresso alla fine del commento di Higglety
Pigglety Pop!: vogliamo un
esordio nel lungometraggio, ecchediamine.
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