Il Morandini boccia impietosamente le uniche tre opere di Massimo Pirri (escludendo Calàmo e Meglio baciare un cobra), Italia: ultimo atto (1977), L’immoralità (1978) e Tunnel (1983) definendole sciatte, carosellesche (eh?), di cattivo gusto e inverosimili. Eppure, come spesso accade, Pirri è stato (ri)scoperto negli ultimi anni con la rivalutazione di quei 10-20 anni di cinema italiano underground, tanto che nel 2006 la Raro Video ha ristampato in dvd L’immoralità.
Scrive Alessio Palma a proposito del film: L’immoralità è (…) una delle cose più affascinanti del cinema “sommerso” italiano di fine decennio. Una fiaba malata e dagli intenti desacralizzanti, non priva di ingenuità o cedimenti strutturali i quali però, contestualizzati nel periodo di riferimento, si offrono come schegge impazzite di sana irresponsabilità, marcando la distanza che oggi ci separa da un cinema non più ripetibile, colorandola di nostalgia.
Facciamo in modo che la madre e l’uomo si incontrino, che lei porti nella villa lui, che vadano a letto, che Simona veda tutto e che non voglia essere da meno nei confronti di sua madre.
L’immoralità è l’assenza di principi morali.
Ma cosa sono i principi morali? Non sono forse il risultato della nostra educazione e formazione collettiva? E la collettività non è formata da uomini? E quindi questo film non è forse una critica sociale?
Sì, lo è.
Ma allo stesso tempo è vittima della sua collocazione temporale, del suo contesto. E così quello che vorrebbe dire lo dice con mezzi biechi e perversi, e la linea che separa la pellicola dall’exploitation è sottile. Se il climax del film è rappresentato dal rapporto sessuale tra la dodicenne Simona e il maniaco Federico, allora questo confine viene oltrepassato. Però, se si limitasse ad un mero racconto di triangoli amorosi e fini a se stessi, significherebbe che L’immoralità non ha un sottotesto, che Pirri ha voluto mostrare una ragazzina nuda e basta. Invece ciò che appare più rimproverabile, scavando a fondo, è il suo punto di forza. Si può evincere, ma con fatica e senza lasciarci suggestionare dall’atmosfera erotica, che la mancanza di una morale, di una coscienza, è una cappa che ingabbia non solo i tre protagonisti ma l’intera cittadina: un poliziotto che vuole sedurre la civettuola Vera (Lisa Gastoni che regge il film da sola) invece di proseguire le indagini e un gruppo di “giustizieri” che dà la caccia al pedofilo sono uomini che hanno smarrito la propria coscienza, la propria etica. E allora forse non sono più uomini ma animali (si badi che il pedofilo muore in una uccelliera, allegoria di una prigione, ma anche ironia per un cielo irraggiungibile), e allora forse non sono tanto diversi dal maniaco.
Vi sono alcune classiche facilonerie: recitazione sottotono, montaggio poco azzeccato in alcuni frangenti (prima sequenza di sesso), musiche, anche se di Morricone, poco incisive. Ma tutto deve essere portato nel 1978, in un contesto ben preciso. Ed è d’obbligo dunque porci due domande che sorgono a visione terminata quanto mai attuali.
Quali sono i valori guida di una società, e quindi di un singolo uomo?
Quando un comportamento è eticamente corretto?
Agli spettatori l’ardua responsabilità di rispondere.
Scrive Alessio Palma a proposito del film: L’immoralità è (…) una delle cose più affascinanti del cinema “sommerso” italiano di fine decennio. Una fiaba malata e dagli intenti desacralizzanti, non priva di ingenuità o cedimenti strutturali i quali però, contestualizzati nel periodo di riferimento, si offrono come schegge impazzite di sana irresponsabilità, marcando la distanza che oggi ci separa da un cinema non più ripetibile, colorandola di nostalgia.
La parola chiave è contestualizzare, ma su questo ci tornerò a fine commento.
La sinossi deve essere stata la seguente più o meno: prendiamo Federico un maniaco sessuale, un uomo che non sarebbe degno di essere definito tale, uno che uccide i bambini. In una fuga disperata mettiamo sulla sua strada Simona, una dodicenne con un padre paralizzato e una madre libertina.Facciamo in modo che la madre e l’uomo si incontrino, che lei porti nella villa lui, che vadano a letto, che Simona veda tutto e che non voglia essere da meno nei confronti di sua madre.
L’immoralità è l’assenza di principi morali.
Ma cosa sono i principi morali? Non sono forse il risultato della nostra educazione e formazione collettiva? E la collettività non è formata da uomini? E quindi questo film non è forse una critica sociale?
Sì, lo è.
Ma allo stesso tempo è vittima della sua collocazione temporale, del suo contesto. E così quello che vorrebbe dire lo dice con mezzi biechi e perversi, e la linea che separa la pellicola dall’exploitation è sottile. Se il climax del film è rappresentato dal rapporto sessuale tra la dodicenne Simona e il maniaco Federico, allora questo confine viene oltrepassato. Però, se si limitasse ad un mero racconto di triangoli amorosi e fini a se stessi, significherebbe che L’immoralità non ha un sottotesto, che Pirri ha voluto mostrare una ragazzina nuda e basta. Invece ciò che appare più rimproverabile, scavando a fondo, è il suo punto di forza. Si può evincere, ma con fatica e senza lasciarci suggestionare dall’atmosfera erotica, che la mancanza di una morale, di una coscienza, è una cappa che ingabbia non solo i tre protagonisti ma l’intera cittadina: un poliziotto che vuole sedurre la civettuola Vera (Lisa Gastoni che regge il film da sola) invece di proseguire le indagini e un gruppo di “giustizieri” che dà la caccia al pedofilo sono uomini che hanno smarrito la propria coscienza, la propria etica. E allora forse non sono più uomini ma animali (si badi che il pedofilo muore in una uccelliera, allegoria di una prigione, ma anche ironia per un cielo irraggiungibile), e allora forse non sono tanto diversi dal maniaco.
Vi sono alcune classiche facilonerie: recitazione sottotono, montaggio poco azzeccato in alcuni frangenti (prima sequenza di sesso), musiche, anche se di Morricone, poco incisive. Ma tutto deve essere portato nel 1978, in un contesto ben preciso. Ed è d’obbligo dunque porci due domande che sorgono a visione terminata quanto mai attuali.
Quali sono i valori guida di una società, e quindi di un singolo uomo?
Quando un comportamento è eticamente corretto?
Agli spettatori l’ardua responsabilità di rispondere.
ho appena visto "l'immoralità" e apprezzo moltissimo quello che hai detto.
RispondiEliminaC'è da dire che a parte le ingenuità di struttura, e trama, cosa riscontrabile in parecchi film del periodo, anche e perchè probabilmente venivano girati in una/due settimane,questi autori, Pirri, ma anche Agosti con il suo "nel più alto dei cieli" (che ti consiglio) avevano coraggio. Un coraggio, un punto di vista, un'onestà almeno in apparenza che ti fa chiedere: ma i nostri cineasti Italiani, quelli di oggi intendo, di cosa si alimentano per creare l'ammasso di prodotti inutili e senza senso che ogni anno ci dobbiamo sorbire?
federicobonaconza@yahoo.it
Anche io apprezzo il tuo intervento, forse a quei tempi oltre al coraggio c'era meno perbenismo in giro, i registi del cinema bis osavano molto, a volte tracimando in un compiacimento palese, altre volte, purtroppo rare, dimostrando di avere del talento, ed è il caso de L'immoralità. Grazie per il consiglio, anche se mi sono allontanato dal genere, questo Agosti lo vedrò.
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