lunedì 20 ottobre 2008

L'Uomo è morto


Una delle ragioni per cui vale la pena vivere è la musica, di qualunque genere essa sia.
Ma non basta soltanto ascoltarla, perché sarebbe troppo facile. È obbligatorio comprenderla.
Che poi il senso che ci trovo dentro non è detto che sia la giusta interpretazione, ma un tentativo, anche sbagliato, di entrare nella musica è sempre meglio che farla scivolare via passivamente.
Forse quando ho sentito per la prima volta Dio è morto ero troppo piccolo, ma non di età bensì di testa. L’avevo liquidata con banalità del genere: “Mmm sì vabbè un po’ di Nietzsche, nichilismo, niente di nuovo per gli anni '60. C’è di meglio.”

Poi l’ho riascoltata.
E poi di nuovo, e ancora e ancora.
Così adesso rido di me, ma sono anche contento perché ho capito il messaggio di Guccini: non è nessun Dio che è morto ai bordi delle strade e nemmeno nei miti delle estate. No, chi è morto nei campi di sterminio è l’Uomo. L’Uomo è morto nei miti della razza e negli odi di partito.
Ma c’è una frase che mi ha fulminato:

nelle auto prese a rate Dio è morto

Boom. Illuminazione.
Magari mi spingo troppo oltre, ma se quelle auto fossero delle case? E quelle rate dei mutui?

Io mi aggrappo alle ultime parole della canzone, sperando.

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