domenica 8 ottobre 2023

Massaker

Hai mai provato paura?

Coloro i quali videro Valzer con Bashir (2008) e concedendo ai suddetti la possibilità che ne conservino anche solo un minimo ricordo, potrebbero saltare le righe successive agli imminenti due punti, al resto dei cari lettori, invece, tocca una breve e inadeguata lezione di Storia: tra il 16 ed il 18 settembre del 1982 in un quartiere di Beirut chiamato Sabra e nel campo nomadi di Shatila vennero sterminati migliaia di civili palestinesi (in maggioranza donne, bambini e anziani) da parte di alcune milizie libanesi di religione cristiana guidate dalla mano nemmeno tanto invisibile del governo israeliano. Fu un vero e proprio eccidio, una di quelle pagine del passato che ci dovrebbero far vergognare di essere umani e che, cosa più terribile, pian piano si dissolverà nella nebbia del tempo salvo poi ricomparire sotto altre forme ma con simile e dirompente orrore. Massaker (2005) si approccia a questo buco nero assemblando le testimonianze di alcuni membri appartenenti ad uno dei gruppi paramilitari che compì in prima persona tali atrocità, la produzione è principalmente tedesca e infatti tra i registi (ben tre/quattro!) ne troviamo due teutonici, uno nato in Libano e una negli Stati Uniti, ovvero Nina Menkes che però in alcuni siti non è accreditata come tale, ad ogni modo, se il sottoscritto ha posato gli occhi sul documentario in oggetto lo deve proprio a lei, ma, l’immediata constatazione, è che qua non sembra di essere in un suo film, gli esperimenti di Magdalena Viraga (1986) o The Bloody Child (1996) sono sostituiti da una realtà allucinata che la Nostra ha curato in termini di fotografia e di riprese, il risultato non era pronosticato in un’ottica menkesiana però l’effetto scaturito è assolutamente meritevole. Perché? Perché si indaga il male e, dentro quegli stanzini con le tapparelle abbassate, tra il sudore, le canottiere, i gatti bianchi, i corpi spigolosi e irsuti, se ne avverte la puzza nauseabonda.

Ah giusto, non ho accennato al fatto che: gli uomini interpellati non si mostrano a viso scoperto e ciò fa di loro degli inquietanti esseri acefali che, immersi in penombre verderosse, al posto della testa hanno una macchia nera. Sono ombre che raccontano del buio dal quale provengono. I più attenti ricorderanno che da queste parti sono passate almeno altre due opere con degli assunti teorici e formali pressoché equiparabili: El Sicario, Room 164 (2010) di Gianfranco Rosi e Terra de ninguém (2012) di Salomé Lamas, per Massaker torna con rinnovata efficacia, al pari dei lavori appena citati, quella capacità che ha il cinema di colpire con potenza e precisione nel non-mostrato, in una zona dove la narrazione di un evento diventa ancora più efficace dell’eventuale esibizione del suddetto evento perché apre a suggestioni e scuote l’immaginazione. Che poi il fulcro dei discorsi sia una roba terrificante, disumana, avvenuta neanche quarant’anni addietro, non fa che aumentare il carico dell’apprezzamento e quindi dello sconvolgimento: non si riesce a dire nulla di vagamente perspicace di fronte ad un uomo che a cuor leggero ricorda di aver assistito allo stupro di una ragazzina e al suo susseguente efferato omicidio, né si sa bene cosa pensare al cospetto di vaghi rimorsi, incubi notturni o pseudo-pentimenti che affiorano timidi, è il caso allora di osservare in silenzio, di farsi a nostra volta testimoni in grado di rispondere alle barbarie con l’unica arma che non uccide nessuno: la memoria. Guardare per non dimenticare, per ricordare.

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