domenica 22 ottobre 2023

Elon Doesn't Believe in Death

Non ritengo ci siano molte chiacchiere da fare per Elon Não Acredita na Morte (2016), questo debutto nel lungo che ho visto con colpevole ritardo segue la medesima strada dei due lavori brevi che l’hanno preceduto: Permanências (2011) e Tremor (2013), anche qui, anzi, soprattutto qui, il cinema proposto da Ricardo Alves Jr. è una manifestazione autoriale cupa ed austera, non si esce mai da tali connotati, non c’è spazio per null’altro che non sia lo spazio del reale, ovviamente carpito con i “soliti” pedinamenti alle spalle degli attori, luci (?) naturali e dialoghi pressoché azzerati, tutte cose che di norma fanno bene alla visione sebbene mi senta in obbligo di dire che uno spettatore con un minimo di interesse oltre i prodotti da botteghino in Elon… non potrà ritrovare niente capace di smuovergli davvero qualcosa dentro. Ad ogni modo se si accettano le regole di Alves la sua proposta ha, e mi assumo tutte la responsabilità di quanto segue, un’ispirazione mitologica, greca per la precisione, perché fin dai primi fotogrammi con la discesa del protagonista giù per delle scale e la conseguente ricerca dell’amata in una valle urbana pucciata nell’oscurità, ci ho visto una rielaborazione della storia di Orfeo e del suo viaggio nell’Oltretomba. Chiaro, dovete fare un discreto sforzo di contestualizzazione per tenere in piedi codesto parallelo tra la classicità ellenica e la contemporaneità brasiliana, però: perché no? 

È difficile entusiasmarsi per un impianto globale che sfiora il grado zero dell’asciuttezza, sappiamo che la settima arte, in particolare negli ultimi due decenni, ha anche fattezze del genere, e quindi, invece di magari puntare il dito su evidenti ripetizioni (quante riprese da dietro di Elon che cammina ci saranno?) o quella sensazione di vuoto che trasmettono narrazioni di tal fatta è più costruttivo focalizzarsi su un semplice e se vogliamo perfino abusato dettaglio sintattico che però fa il suo dovere, mi riferisco alla parentesi onirica dove appare una lasciva Madalena che, oltre a ingannarci di primo acchito, suggerisce aspetti maggiormente importanti, ovvero come nella testa del ragazzo ci sia un gran bel casino (vedi anche la confusa deposizione con il poliziotto) e che di riflesso tale caos componga sempre in maniera super rigorosa l’ossatura dell’opera. Quello che vediamo è una sorta di POV, la soggettiva di un uomo turbato e scombussolato circondato da un ambiente esterno che è il corrispettivo di ciò che sente all’interno, prova ne è la negazione conclusiva dell’evidenza funebre, lui non crede dentro di sé che sia morta e quindi non la vede nella camera mortuaria. 

Alves è ok, ma dai film più recenti, e ce n’è uno girato a quattro mani con João Salaviza, pretendo un’ulteriore maturazione artistica.  

Nessun commento:

Posta un commento