Non è chiaro se i protagonisti di questo Free World Pens (2015) siano effettivamente Nika Khanjani e suo fratello minore, non sappiamo, in sostanza, se la storia narrata dal cortometraggio sia vera o meno, ma in fondo questioni del genere passano in secondo piano se l’esemplare artistico con il quale dobbiamo confrontarci è più che decoroso a prescindere da un’eventuale veridicità dei fatti. Del resto non mi è sembrato che la regista di origine iraniana ma canadese d’adozione puntasse a fare un film di denuncia, il taglio estetico che ha dato alla sua creatura e che subito si fa peculiare, ha un’essenza che si occupa in prima battuta del particolare ma che ad uno sguardo più ampio punta ad una sorta di totalità, di grande abbraccio che accoglie in sé un oltre rispetto al rapporto consanguineo raccontato sullo schermo. Premessa: non c’è davvero niente di nuovo qua, la mossa della Khanjani è risaputa: prendere la forza che risiede nell’intimità di una e mille lettere per srotolarla su un corredo di immagini che non hanno praticamente nulla a che fare con le parole proferite. Formula nota che fa sempre il proprio sporco lavoro. E queste immagini: per spararla grossa pare di rivedere le traiettorie raminghe del Malick 2.0, tutta sospensione e fluttuazione, in dolcezza. Il paragone non può starci, ovvio, però assistere al movimento della videocamera attraverso gli spazi e i tempi di Montréal suscita un po’ di piacevole malia.
La questione è che il contrasto tra le aperture ambientali e il focus sul carcere accende il significato dell’opera, l’ossimoro è specificatamente visivo, l’occhio è libero di girare in una città in cui si avvicendano le stagioni mentre l’orecchio sente una testimonianza di isolamento, di reclusione. Il discorso poi potrebbe pure allargarsi diventando biunivoco. Non sono convinto al 100% che la filmmaker abbia in tal senso centrato il bersaglio, ad ogni modo ciò che emerge è una sofferenza che proviene anche dal versante femminile, da colei che vive un’esistenza normale come tante altre, è un malessere trasversale quindi che dovrebbe farci interrogare su quali siano i confini di quella che chiamiamo libertà, e su come la suddetta libertà venga spesso percepita erroneamente come una gabbia, ma Free World Pens non ha a mio avviso il potere di illuminare riflessioni così profonde, si ferma qualche metro prima. E non gliene faccio una colpa.
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