Il sottoscritto sarà sincero: dopo neanche trenta minuti la situazione si è fatta talmente inaccessibile dal farmi desistere in qualsiasi tentativo di decifrazione. Ho preferito quindi scivolare in balia delle immagini, nella loro malia, per registrare, almeno, la duplice dimensione filmica che si esplicita: da un lato la dama di corte che racconta la storia ad Alessandro II e dall’altro la storia medesima che accade sullo schermo e che orbita attorno alla misteriosa morte di un uomo trafitto da una freccia. Le varie ricostruzioni del delitto, narrate dalla donna attraverso la stramba pratica di appoggiare un cono di carta contro la parete o contro un candelabro, non hanno alcun carattere “investigativo”, Khamdamov preferisce diluire la spina dorsale del film (questa trasmissione orale che intrattiene lo Zar) in una rêverie difficilmente domabile. The Bottomless Bag rientra in un insieme di pellicole che dividono a causa di una natura bifronte, estremamente respingente e al contempo sottilmente seducente, un discreta gatta da pelare insomma, però, se messo alle strette e dovessi buttare giù dalla torre Meshok bez dna o un qualunque film che naviga nell’ordinario, salverei senza esitazioni Khamdamov, anche se non è scattato un feeling immediato stile, idea e autorialità sono presenti, e tanto mi basta.
giovedì 19 ottobre 2023
The Bottomless Bag
Singolare
trasposizione russa del racconto Nel bosco di
Ryūnosuke Akutagawa, nient’altro che la fonte di ispirazione per
Rashomon (1950),
recante la firma di un regista di nome Rustam Usmanovich Khamdamov
nato in Uzbekistan nel 1944 che, a fronte di una filmografia
piuttosto esigua (ma pare sia anche pittore tanto che alcune sue
opere sono esposte all’Ermitage di San Pietroburgo), gode di un
certo rispetto, sia oggi che nel passato quando riceveva lodi dai
pesi massimi del cinema italiano come Antonioni e Fellini (e qui nei
titoli di coda spunta anche Tonino Guerra). A vedere Meshok
bez dna (2017) in effetti si può
dire che la mano ci sia, il bianco e nero recapitatoci è uno di
quelli che un recensore anglofono definirebbe stunning,
più che altro sembra appartenere geneticamente al luogo di nascita,
come se al di fuori dell’ex Unione Sovietica un’opera con questa
cromatura non potesse esistere, che poi non è affatto solo una
questione di colori, The Bottomless Bag è
infarcito di stranezze (anch’esse, per buona parte e per mio
sentire riconducibili alla galassia russa): uomini-fungo, eremiti
dalle gambe di legno, principesse, ladruncoli, orsetti XL,
l’enciclopedia del fantastico usata da Khamdamov è ampia da
sembrare lei stessa senza fondo,
proprio che c’è da perdersi, e visto che qui non abbiamo mai il
minimo contatto con la realtà il patto a cui dobbiamo sottostare è
un susseguirsi di pennellate che richiamano gli ingredienti della
fiaba, ma filtrati da un approccio weird, bizzarro, un bel boccone da
masticare anche per i palati più avvezzi a certe manifestazioni
incontrollabili.
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