giovedì 19 ottobre 2023

The Bottomless Bag

Singolare trasposizione russa del racconto Nel bosco di Ryūnosuke Akutagawa, nient’altro che la fonte di ispirazione per Rashomon (1950), recante la firma di un regista di nome Rustam Usmanovich Khamdamov nato in Uzbekistan nel 1944 che, a fronte di una filmografia piuttosto esigua (ma pare sia anche pittore tanto che alcune sue opere sono esposte all’Ermitage di San Pietroburgo), gode di un certo rispetto, sia oggi che nel passato quando riceveva lodi dai pesi massimi del cinema italiano come Antonioni e Fellini (e qui nei titoli di coda spunta anche Tonino Guerra). A vedere Meshok bez dna (2017) in effetti si può dire che la mano ci sia, il bianco e nero recapitatoci è uno di quelli che un recensore anglofono definirebbe stunning, più che altro sembra appartenere geneticamente al luogo di nascita, come se al di fuori dell’ex Unione Sovietica un’opera con questa cromatura non potesse esistere, che poi non è affatto solo una questione di colori, The Bottomless Bag è infarcito di stranezze (anch’esse, per buona parte e per mio sentire riconducibili alla galassia russa): uomini-fungo, eremiti dalle gambe di legno, principesse, ladruncoli, orsetti XL, l’enciclopedia del fantastico usata da Khamdamov è ampia da sembrare lei stessa senza fondo, proprio che c’è da perdersi, e visto che qui non abbiamo mai il minimo contatto con la realtà il patto a cui dobbiamo sottostare è un susseguirsi di pennellate che richiamano gli ingredienti della fiaba, ma filtrati da un approccio weird, bizzarro, un bel boccone da masticare anche per i palati più avvezzi a certe manifestazioni incontrollabili.

Il sottoscritto sarà sincero: dopo neanche trenta minuti la situazione si è fatta talmente inaccessibile dal farmi desistere in qualsiasi tentativo di decifrazione. Ho preferito quindi scivolare in balia delle immagini, nella loro malia, per registrare, almeno, la duplice dimensione filmica che si esplicita: da un lato la dama di corte che racconta la storia ad Alessandro II e dall’altro la storia medesima che accade sullo schermo e che orbita attorno alla misteriosa morte di un uomo trafitto da una freccia. Le varie ricostruzioni del delitto, narrate dalla donna attraverso la stramba pratica di appoggiare un cono di carta contro la parete o contro un candelabro, non hanno alcun carattere “investigativo”, Khamdamov preferisce diluire la spina dorsale del film (questa trasmissione orale che intrattiene lo Zar) in una rêverie difficilmente domabile. The Bottomless Bag rientra in un insieme di pellicole che dividono a causa di una natura bifronte, estremamente respingente e al contempo sottilmente seducente, un discreta gatta da pelare insomma, però, se messo alle strette e dovessi buttare giù dalla torre Meshok bez dna o un qualunque film che naviga nell’ordinario, salverei senza esitazioni Khamdamov, anche se non è scattato un feeling immediato stile, idea e autorialità sono presenti, e tanto mi basta.

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