Sarebbe un peccato inoltre considerare il film soltanto come una carrellata su dei reietti messicani, negli anni di emarginati nella settima arte ne abbiamo visti tanti, dall’America di Dark Days (2000) e Below Sea Level (2008) passando per la cimiteriale coppia post-sovietica Le palme delle mani (1994) – L’ultimo posto sulla Terra (2001) insieme, ovviamente, a decine e decine di altri titoli citabili, le anime perdute di Navajazo non sono così diverse dalle loro colleghe (in ballo abbiamo sempre questioni di droga, violenza, prostituzione, ecc.), ma non estendere lo sguardo oltre un rigattiere di giocattoli polverosi o un pornografo impegnato in un bizzarro progetto significa non cogliere il succulento potenziale della pellicola. I ricami di Silva sul girato ampliano (e non di poco) la capacità polmonare del film, basta un incipit magistrale che parla di una non precisata fine del mondo a mettere in moto dei meccanismi suggestionanti, sensazioni che si ripresentano ad ogni raccordo tra un segmento e l’altro, sono iniezioni stranianti che provocano ulteriore scompiglio, al pari dell’impiego di temi musicali discordanti (si vedano gli amplessi accompagnati da una ninnananna), o all’inserimento di lacerti d’un altro film, probabilmente di bassa lega, che si mimetizzano nel flusso principale. La ricchezza di Navajazo brilla nella sporcizia di cui si occupa e soprattutto nel metodo impiegato per raccontarcela, sfrontato e creativo, è una di quelle frustate inattese che mi invogliano più che mai a cercare nuovi film, nuovi registi, nuovi confini da provare a oltrepassare.
Sostiene Pereira
1 ora fa
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