sabato 28 ottobre 2023

Notre-Dame-des-Monts

L’immagine di un uomo anziano sdraiato su una roccia apre Notre-Dame-des-Monts (2016), di quest’uomo e del luogo in cui si trova (sebbene ad una rapida ricerca è agevole localizzare l’omonima zona nel Québec) non sappiamo nulla. Una tale assenza di coordinate, geografiche ma anche narrative, è alla base di quel cinema che mi permetto di definire rurale e che conosciamo piuttosto bene, illustri registi hanno operato in siffatta direzione per levare il superfluo e lasciare la nuda radice, o la parvenza di essa, di fronte alla mdp. Anche il canadese Martin Rodolphe Villeneuve nel suo piccolo continua la tradizione contemplativa affidandosi alla carica primigenia contenuta in un ambiente bucolico, per cui, nonostante sia incontrovertibile che non abbiamo informazioni certe su chi sia il signore sullo schermo, che ci faccia lì o perché sia costretto a dormire in un fienile abbandonato, la cornice immortalata dal filmmaker ed il metodo di trasmissione adottato, fanno in modo che comunque si crei una storia anche se una storia, di fatto, non c’è. Certo, ci sono esempi nell’ambito appena descritto che hanno una caratura infinitamente più autorevole, le manifestazione autoriali di un Serra, di un Alonso o di un Dumont quando era ancora un regista intransigente, sono su un altro pianeta rispetto a Villeneuve, diciamo che qui qualcosa si subodora, c’è del buono, c’è della materia prima ben lavorata.

A proposito del caro ex professore di filosofia nato a Bailleul, in Notre-dame-Des-Monts la suggestione che tocca quelle corde non subito visibili è di stampo religioso. Un’eco neanche troppo celata si diffonde nel cortometraggio con la figura centrale e frontale di una statuetta raffigurante la Madonna. Facile pensare a delle possibilità, del tipo che il capannone possa rappresentare un guscio protettivo che dà una notte di pace e conforto al vagabondo, la scena in cui viene sfilato via il chiodo dal petto della scultura ha una sua cifra evocativa, il sottoscritto ci ha visto un avvicinamento sì fisico (il senzatetto la tiene con sé nel suo giaciglio durante il sonno), ma soprattutto spirituale ad uno stato superiore, una richiesta di aiuto e di accettazione verso un’entità in miniatura sporca e dimenticata ma pur sempre divina. Alla fine ciò che emerge è il ritratto di una solitudine che può anche essere astratta, universale, che esula dal particolare per farsi generale: tutti noi, nella nostra vita, abbiamo bisogno di un rifugio dove racimolare briciole di speranza. Io, ad esempio, dal 2007 le cerco e le trovo in questo blog.

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