E anche quando, seppur mantenendo una diffusa nebulosità, il succo della questione sale a galla, non vi è mai uno scioglimento, una risoluzione, un’accelerata verso qui o verso là. Ciò è bene però è obbligatorio spendere due parole sulla svolta soprannaturale impressa da Côté che è una svolta legittima sul piano teorico ma non efficace su quello realizzativo. Senza girarci intorno, noi, assidui frequentatori di certo cinema, un Giorno del Giudizio con queste caratteristiche lo abbiamo già visto, l’idea di dare ai redivivi un’inquietante immobilità è veramente troppo troppo simile a Les Revenants (2012-2015) e quindi a They Came Back (2004), possiamo sì rintracciare degli elementi che distinguono Côté dai suoi colleghi, ci mancherebbe, la forma del quebechiano non è esportabile in una serialità né si negano degli approfondimenti drammatici non convenzionali (il tocco del regista è obliquo in ogni settore), però stringi stringi, quello che rimarrà nella memoria, la sostanza visiva, ossia il vedere la ricomparsa di gente defunta che se ne sta ritta e impalata in mezzo a dei campi ad osservare chi è ancora vivo, non riesce a scrollarsi una derivazione che fa inevitabilmente scendere il livello di gradimento. Non pago Côté infila dentro il cliché della suonata del paese che, esattamente per la sua condizione, riceve un’illuminazione divina che ricorda, vista l’inaspettata levitazione, il vecchio Dumont senza però nemmeno sfiorare la trascendenza che ne legittimerebbe il verificarsi in scena. Il cinema di Denis Côté si conferma davvero un cinema strano, sempre a metà di un guado che lo rende sia prevedibile che incatalogabile, ama vagabondare nei generi senza strutturarsi in una riconoscibile identità, magari, penserà l’autore, la mia identità è esattamente il non averne una sola e immutabile, sarà, ma quel sapore di incompiutezza che si è presentato in molte recenti occasioni non ce lo leva nessuno dalla bocca.
Felicità
2 ore fa
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