A ritroso,
fino all’inizio di tutto, ed è proprio Frank Beauvais a dirlo in
questa intervista: “quello è stato il mio primo film girato più
di dieci anni fa. […] L’idea era di lavorare in totale libertà.
Trovai un produttore e gli chiesi una videocamera promettendogli di
tornare con un film. Ed è ciò che è successo. Semplicemente ed
esattamente come mi piace lavorare. Era la prima volta che avevo una
camera tutta per me. Non possedevo alcuna competenza tecnica”. E
quindi se Just Don’t Think I’ll Scream
(2019) ha acceso il nostro sguardo, anche À genoux
(2005), con le ovvie contestualizzazioni del caso, pulsa in quelle
zone di cinema che, non so se a ragione o a torto, potrebbero essere
categorizzate come sperimentali. Ma al di là dell’etichetta nel
cortometraggio d’esordio del regista francese si aggira un’entità
elettrica, piena di spasmi, forse perfino epilettica, esaltate dalle
riprese iper-ravvicinate dei fiori, talmente prossime da rendere,
almeno nelle prima metà, gambi, petali e pistilli forme colorate
completamente indistinte, macchie che si alternano alle immagini di
una vecchia pellicola erotica. Nessuno potrà spiegare con precisione
cosa accade, però un paio di indizi costituirebbero una prova, che è
una separazione, forse tra un uomo e una donna (ne vediamo una, a
terra, strangolata), o comunque il verificarsi di una situazione
violenta, buia, fatto è che anche l’accompagnamento sonoro si
acutizza in urla e aspre distorsioni prima di un addolcimento, di una
confessione a due voci.
Arrivati
qua è parso al sottoscritto che la vera direzione del corto sia di
stampo naturalistico e che l’ipotetica vicenda umana sia solo un di
più che pian piano si asciuga nella ciclicità della natura. Dopo il
monologo con eco femminile infatti i soggetti principali, ovvero i
fiori, cominciano ad acquisire nitidezza ai nostri occhi, non più, o
non soltanto chiazze informi, ma sagome riconoscibili con il loro
contorno di piante ed erba. Con l’ingresso nell’ultimo segmento
il processo di limpidezza viene portato a termine, ora scorgiamo
chiaramente ogni cosa perché ogni cosa che vive è anche
provvisoria, è intrisa di caducità, appassisce come una relazione
sentimentale. Però, se vogliamo persistere nella prospettiva
naturalista, nell’immenso cerchio biologico, che è anche un po’
filosofico, ad una morte corrisponde una nuova nascita, e À
genoux ce lo ricorda negli
ultimi minuti che si ammorbidiscono con musiche delicate coniugate ad
una rigogliosa esplosione di verde e abbacinanti raggi solari. Un
debutto molto interessante dunque, difficile da mettere bene a fuoco,
la sua sfuggevolezza è un ottimo humus per lanciarsi in congetture
interpretative e soprattutto per riporre speranze in Beauvais, le
buonissime impressioni del lungometraggio hanno già trovato una
piccola conferma.
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