venerdì 6 ottobre 2023

À genoux

A ritroso, fino all’inizio di tutto, ed è proprio Frank Beauvais a dirlo in questa intervista: “quello è stato il mio primo film girato più di dieci anni fa. […] L’idea era di lavorare in totale libertà. Trovai un produttore e gli chiesi una videocamera promettendogli di tornare con un film. Ed è ciò che è successo. Semplicemente ed esattamente come mi piace lavorare. Era la prima volta che avevo una camera tutta per me. Non possedevo alcuna competenza tecnica”. E quindi se Just Don’t Think I’ll Scream (2019) ha acceso il nostro sguardo, anche À genoux (2005), con le ovvie contestualizzazioni del caso, pulsa in quelle zone di cinema che, non so se a ragione o a torto, potrebbero essere categorizzate come sperimentali. Ma al di là dell’etichetta nel cortometraggio d’esordio del regista francese si aggira un’entità elettrica, piena di spasmi, forse perfino epilettica, esaltate dalle riprese iper-ravvicinate dei fiori, talmente prossime da rendere, almeno nelle prima metà, gambi, petali e pistilli forme colorate completamente indistinte, macchie che si alternano alle immagini di una vecchia pellicola erotica. Nessuno potrà spiegare con precisione cosa accade, però un paio di indizi costituirebbero una prova, che è una separazione, forse tra un uomo e una donna (ne vediamo una, a terra, strangolata), o comunque il verificarsi di una situazione violenta, buia, fatto è che anche l’accompagnamento sonoro si acutizza in urla e aspre distorsioni prima di un addolcimento, di una confessione a due voci.

Arrivati qua è parso al sottoscritto che la vera direzione del corto sia di stampo naturalistico e che l’ipotetica vicenda umana sia solo un di più che pian piano si asciuga nella ciclicità della natura. Dopo il monologo con eco femminile infatti i soggetti principali, ovvero i fiori, cominciano ad acquisire nitidezza ai nostri occhi, non più, o non soltanto chiazze informi, ma sagome riconoscibili con il loro contorno di piante ed erba. Con l’ingresso nell’ultimo segmento il processo di limpidezza viene portato a termine, ora scorgiamo chiaramente ogni cosa perché ogni cosa che vive è anche provvisoria, è intrisa di caducità, appassisce come una relazione sentimentale. Però, se vogliamo persistere nella prospettiva naturalista, nell’immenso cerchio biologico, che è anche un po’ filosofico, ad una morte corrisponde una nuova nascita, e À genoux ce lo ricorda negli ultimi minuti che si ammorbidiscono con musiche delicate coniugate ad una rigogliosa esplosione di verde e abbacinanti raggi solari. Un debutto molto interessante dunque, difficile da mettere bene a fuoco, la sua sfuggevolezza è un ottimo humus per lanciarsi in congetture interpretative e soprattutto per riporre speranze in Beauvais, le buonissime impressioni del lungometraggio hanno già trovato una piccola conferma.

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