L’importanza della sequenza sulla barchetta è sottolineata dall’inserimento di alcune didascalie dall’aperta interpretazione, è condivisibile vedere nel tragitto sull’acqua una traslazione di innumerevoli altri tragitti in chiave astratta. L’arrivo sulla terra non-promessa dà il via ad un mutamento filmico, stop alla tragica epica odierna a beneficio di un racconto che punta alle radici, temperato da un corredo simbolico con vista sulla trascendenza. D’improvviso un ricordo emerge dalle nebbie del tempo: Naufragio (2010) di Pedro Aguilera, pregevole stoccata dalle sembianze dumontiane (quando Dumont faceva un certo tipo di cinema), che ha in comune con The Last of Us un simile movimento dal concreto al metafisico lasciandosi dietro una scia di mistero. Forse Aguilera arriva più in alto, ma anche Slim si stacca dal suolo, il procedimento si accende verso la fine, prima abbiamo una porzione illustrativa che a mio avviso mette in scena la proiezione futuribile di N, ovvero M, il ragazzo è, e sarà, l’eremita barbuto, in questo territorio libero dalle leggi della razionalità è piacevole abbandonarsi a intuizioni esegetiche non constatabili, per cui assistendo alla morte del vecchio potrebbe compiersi un passaggio di testimone (al di là dell’età anagrafica, i due per tratti somatici, capigliatura e vestiario si assomigliano molto), il realizzarsi di un nuovo sé, sempre, però, in una dimensione incerta, quasi purgatoriale. Giunti alla sostituzione dei ruoli sullo schermo, è difficile intendere ancora N come un profugo, la questione pare dissolversi in favore di una discesa o ascesa verso l’originarietà, un precipitato di robe universali e primitive. Mi sta bene, non ho molto da obiettare nei riguardi della piega che la narrazione prende, se pensiamo all’uomo come il fantasma di un corpo sul fondo del Mediterraneo in cerca di una definitiva liberazione terrena il finale con la disgregazione weerasethakuliana riconcilia l’istanza della carne con quella dello spirito.
E quindi, il debutto nella fiction di Ala Eddine Slim merita il nostro sguardo? Credo di sì, tuttavia mi permetto di emettere un’avvertenza: alla sopraccitata chiarezza del film velata da un’enigmaticità che si risolve senza sforzi erculei, aggiungo che questo cinema risulta troppo “pulito”, il motivo è dato dal fatto che comunque trattiamo un registro di totale finzione e la cosa si sente e si vede, se la corrente d’artificio si fosse prosciugata nel canyon del reale ne avrebbe giovato l’intero impianto, allora sì che la prima parte sarebbe risultata maggiormente pregna di disperazione, solitudine e sconforto mentre nella seconda gli slanci surreali (la palla di luce: affascinante) avrebbero fatto decollare il tutto. Con serenità aspettiamo Tlamess (2019), se ne dice sia un gran bene che un gran male, i presupposti sono ottimi.
Tlamess io l’ho adorato
RispondiEliminaSì, non male anche se gli manca ancora quel non so che a farmi dire wow.
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