lunedì 23 ottobre 2023

See No Evil

Pur riconoscendo alcune sue qualità, devo ammettere che See No Evil (2014) non ha particolarmente acceso il mio entusiasmo cinefilo. Credo che all’olandese Jos de Putter, a quanto leggo un professionista dentro al mondo-cinema da parecchi anni e con titoli sulla carta abbastanza interessanti, sia un po’ sfuggita di mano quell’eticità dello sguardo che deve essere sempre tenuta tra le priorità per chi fa questo mestiere. La triplice veduta offerta a noi spettatori che corrisponde al ritratto di altrettanti primati sulla via del pensionamento (una star del grande schermo, uno scimpanzé super intelligente e un altro vessato da problemi motori), non si scrolla mai di dosso quella retorica del “guardate quanto gli animali sono simili a noi”, come se non fosse un fatto già ampiamente assodato in ogniddove, soprattutto per scimmie e affini. Non è che la questione sia ammorbante, cioè è sempre simpatico osservare delle caratteristiche antropomorfe in animali che non siano gli umani e quindi vedere Cheeta mangiare col cucchiaio o Kanzi interagire con un pannello elettronico fa sorridere, pensare, porre quesiti, ecc., però incastrare l’intero orizzonte tematico di un’opera all’interno di questa nozione l’ho trovato un po’ limitato. Attenzione poi perché una volta constatata la faccenda uomo = scimmia, de Putter con l’ultimo segmento compie il giro completo, quello che prosegue dalla succitata somiglianza fino al “ma quanto fa schifo l’umanità che in nome delle sue teorie calpesta i diritti degli indifesi?”, sì sì, è così, è stato, è e sarà anche se si spera in una progressiva eco-civilizzazione, però, ancora, non ho ritenuto sufficientemente accattivante la chiosa concettuale a cui il film giunge, son cose risapute, suvvia.

Ad onor del regista mi sento comunque di dirgli che l’ultima parte, al di là della mancata presa teorica nei confronti di chi scrive, è quella cinematograficamente più convincente perché rispetto alle altre due si asciuga nel campo della descrizione (e ad ogni modo non abbiamo assistito ad una sciatta illustrazione nemmeno per i primi due capitoli) e lascia che il documentario si adagi sulla realtà di cui si occupa senza sottolineature troppo evidenti, c’è Knuckles, la sua sofferenza, le sue difficoltà nel deambulare e la sua solitudine, che forse è condivisibile per tutto il trio, ma in lei l’ho vista più accentuata. Certo, ci sono degli interventi tecnici di de Putter perché vengono inseriti nel montaggio dei filmati di archivio relativi a vari e crudeli esperimenti del passato oltre a delle brevi soggettive non utilizzate per le precedenti protagoniste che ci suggeriscono uno spaesamento più mentale che fisico, tuttavia questi accorgimenti non li ho trovati invadenti bensì funzionali all’esposizione della storia in oggetto, del resto l’impostazione generale è gradevole e si capisce che chi sta dietro la mdp sa lavorare bene, è stato diciamo il cosiddetto messaggio a non aver toccato quelle corde che vorrei venissero toccate quando ho a che fare con la settima arte.

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