mercoledì 18 ottobre 2023

Compilation, 12 instants d'amour non partagé

L’impressione è che Frank Beauvais si sia servito fin dagli esordi del cinema per mettersi alle spalle certi fantasmi sentimentali, qualcosa si intuiva nel precedente À genoux (2005), qualcosa, di contro, si concretizza in Compilation, 12 instants d’amour non partagé (2007), del resto era pressoché inevitabile data la frontalità della situazione che è spiegata dallo stesso regista nelle sinossi che girano in Rete: Frank si innamora di un giovane ragazzo dagli occhi azzurri di nome Arno che però non ricambia, allora Beauvais gli propone di prendere parte al suo mediometraggio invitandolo a casa propria per ascoltare della musica, la vicenda, che mi ha ricordato un po’ le produzioni di Vincent Dieutre per il suo tendere verso infatuazioni sofferte, è quindi tutta racchiusa in una serie di primi piani stretti su Arno che ascolta in silenzio quella che potremmo considerare a tutti gli effetti una playlist di Spotify ante litteram, diversi i supporti tecnologici ma non il nocciolo della questione: dire alla persona amata attraverso delle canzoni mettendo in campo una sequela di speranze (ovviamente in alta percentuale vane) e di empatia che si auspica possa venire ricambiata. Nella scansione temporale che fa rima con musicale, poco si apprende della figura di Arno, a parte nell’incipit dove per la prima e unica volta sorride sulle note di una versione fanciullesca di Over the Rainbow, in tutti gli altri segmenti rimane indecifrabile, forse accigliato, forse pensieroso, probabilmente lontano da quel momento di agognata connessione con chi sta dall’altra parte della videocamera. Il tentativo di avvicinamento da parte di Beauvais parrebbe quindi non avvenire nella dimensione filmica calando perciò l’opera in una bolla agrodolce, un “videoclip” sfaccettato incanalato in una sola faccia, un solo viso, quello di Arno, la materializzazione del rimpianto.

Il bel impianto teorico non deve distrarci da quello pratico, la struttura di Compilation è... semplice. No, non voglio sminuirne la portata, o almeno non troppo, però il procedimento che viene adottato ripetendosi identico a se stesso senza sussulti, senza cambi di direzione, senza illuminazioni o, perché no, rabbuiamenti, si standardizza sul medesimo piano dall’inizio alla fine. È un cinema che fluisce e che va preso in quanto tale, se fosse stato in grado di dare una zampata inaspettata il sottoscritto avrebbe gradito maggiormente. E poi, ma qui si entra proprio nel gusto personale, i pezzi che si susseguono sullo schermo li ho trovati debolucci, a parte Heaven dei Talking Heads ho idea che si sarebbe potuto spingere sul pedale emozionale con sottofondi più intensi e incisivi (per la cronaca le canzoni si alternano tra inglese e francese e riguardano artisti come The Handsome Family, Tiger Lillies, Anne Sylvestre, Petula Clark e altri che non ho avuto voglia di shazamare). È anche altrettanto vero che questo è un lavoro così intimo e soggettivo che magari allo spettatore i suddetti brani diranno poco ma all’inverso a Beauvais potrebbero aver voluto dire molto, anche da un punto di vista testuale. Comunque, oltre le mie elucubrazioni, un altro passo verso Just Don’t Think I’ll Scream (2019) che vale la pena fare.

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