giovedì 26 ottobre 2023

Red Moon Tide

Era molto atteso e non ha deluso, il secondo lungometraggio di Lois Patiño dopo Costa da Morte (2013) è una ricerca su come possa esistere un raccordo tra intransigenza estetica e filigrana narrativa, e al contempo farsi scenario di un’ulteriore ricerca, ’sta volta interna al cinema del galiziano, in un atto di esplorazione e – forse – trasformazione. Parto da qui: con Lúa vermella (2020) il regista compie un movimento piuttosto inaspettato: si avvicina, proprio fisicamente, agli esseri umani. Sì, già in Noite Sem Distância (2015) erano percepibili delle avvisaglie, però niente di paragonabile a quanto viene mostrato in questo film dove gli abitanti di un villaggio costiero vengono ripresi da breve distanza, addirittura con dei primi piani. Si tratta, comunque, di una constatazione superficiale, le persone sono più vicine a noi spettatori eppure, per paradosso, nella filmografia di Patiño non sono mai state così lontane, sono assenti, vivono in uno stato catatonico dove i loro pensieri, aggiunti a mo’ di commento off, rimandano ad un folklore nebbioso e indefinito. Ecco dunque che subentra la componente “storia”, uno scheletro, una mappa (ce n’è una che apre l’opera) che sprofonda nel mito, nelle credenze popolari, e mi sento di dire che il filmmaker è in grado di trovarsi veramente a suo agio in un contesto del genere, ciò che tira fuori da un tale brodo di superstizioni e suggestioni ha tutta una sua lodevole energia che pesca da esemplari magari minori (per il flirtare con il sibillino mi ha ricordato Sin Dios ni Santa María, 2015) fino a riprendere firme prestigiose del panorama autoriale (c’è del Dumont horssataniano nella resurrezione di Rubio). Sia chiaro: Patiño ha già una sua linea personale, le citazioni di altri colleghi non ne fanno di certo un epigono, anzi mi spingo a dire che se manterrà invariata la qualità dei suoi lavori futuri sarà lui a fare didattica, a fare scuola.

Ribadendo la mortificazione che si procura alle produzioni dello spagnolo nel vederle su piccolo schermo invece che su quello grande, con Red Moon Tide si riesce comunque a godere, e tanto, del pregevole impianto formale elaborato per l’occasione. Che Lois fosse bravo nel comparto naturalistico lo si sapeva, chiaro, fino ad oggi eravamo consci di non avere a che fare con un documentarista classico, ma lo step compiuto per Lúa vermella è davvero notevole e regala scorci e accostamenti da applausi. La forza di un oggetto che non si può negare sia abbastanza ostico, almeno per chi non ha vasta esperienza cinefila nel settore, risiede sicuramente nell’alto tasso di fascinazione che è capace di imprimere, sarà banale sottolinearlo ma la potenza delle immagini, seppur calate in una confezione sedata e quindi contemplativa, esplode sullo schermo in continue detonazioni cristalline, roba che può dialogare senza paura con l’arte visuale di un Matthew Barney meno ossessionato dal simbolo. E in subordine, ma mica tanto perché alla fin fine il nocciolo atomico che arde è proprio qua, si sente (corsivo d’obbligo, siamo ben al di là della razionalità, conta il sentire, e basta, il resto è breviario netflixiano) che le suddette immagini non sono un collage fine a se stesso assemblato per gonfiare l’ego del suo creatore, no, c’è un dialogo importante tra l’uomo e la natura (la diga vs. il mare), c’è un ritmo (ampio merito anche al sonoro), c’è una progressione (il viaggio delle tre streghe), c’è una catarsi (l’impeto acqueo virato in rosso). Racconto per immagini è una frase fatta? Sì, allora invertiamo: immagini (sublimi) di un racconto. Gli unici appunti che mi sento di avanzare sono giusto dei dettagli: 1) non avrei scelto di “freezare” gli esseri umani perché richiamano quelli di Roy Andersson e 2) la scelta dei lenzuoli bianchi per i fantasmi avrebbe il suo impatto se non avessimo visto Finisterrae (2010) o Storia di un fantasma (2017), per il resto inchini a profusione verso Patiño.

Nessun commento:

Posta un commento