mercoledì 9 agosto 2017

Boris Without Béatrice

Purtroppo siamo qui a scrivere dell’ultima fatica di Denis Côté ma vorremmo essere altrove, magari in uno dei suoi lavori migliori (Curling, 2010) o giù di lì (Les lignes ennemies, 2010), il motivo? Semplice: Boris sans Béatrice (2016) è un film brutto, ma così brutto che quasi ci si ricrede su quanto fino ad oggi il canadese ci aveva mostrato, d’altronde delle avvisaglie erano già state date col precedente Vic + Flo Saw a Bear (2013) dove si evinceva una preoccupante piattezza nel campo narrativo mitigata, almeno un poco, da una certa coerenza registica che Côté si portava dietro dagli esordi riassumibile nella raffigurazione di un’umanità marginale impegnata a sopravvivere nel Québec più profondo e dimenticato, i due aspetti, geografico e antropologico, funzionavano bene, anzi benissimo se li rapportiamo all’opera del 2016 in cui al contrario non vi è un focus specifico sul luogo (in fondo l’ambiente benestante qui immortalato risulta amorfo, impersonale, applicabile a qualunque altro posto del mondo) né sulle Persone (cioè, il film è spiccatamente centrato sulle persone, ma di chi stiamo parlando? Di un borghese imbottito di denaro la cui vita soapoperistica dovrebbe portarci ad una qualche riflessione? Ad una qualche morale parabolica? Davvero: no grazie), e se dovessi pensare ad un termine che possa sintetizzare Boris Without Béatrice il primo sarebbe “addomesticato” ed il secondo “scarico”, in tutto: nella forma nella sostanza nei possibili significati.

E dire che anni fa Côté con Nos vies privées (2007) aveva saputo declinare il melodramma in modo originale e accattivante, certo c’erano pochi soldi ma, di contro, parecchia più inventiva, ingrediente che adesso è invece seppellito da un cinema orientato a fare incetta di luoghi comuni e che trova nella figura di Boris una deludente commistione dei suddetti; la scrittura del suo personaggio è robetta manualistica e stupisce, ovviamente in negativo, di quanto orizzontale e banale sia lo sviluppo ruolistico studiato appositamente da Côté, dalle premesse che imbarazzano per l’ovvietà che le sostanzia (alè: un uomo ricco che può avere ogni cosa, alla fine non ha niente: yawn) alla redenzione conclusiva che matura per mezzo di un escamotage faticosissimo da ingoiare, mi riferisco alla scelta di introdurre in un impianto che riproduce la realtà senza particolari pretese (né troppo reali, né surreali) un elemento esterno, una specie di mystery man di lynchiana memoria, interpretato da Denis Lavant il quale fungerebbe da coscienza interrogante per Boris, ma le cose non girano affatto, anzi queste parentesi che dovrebbero costituire il quid pluris della pellicola sfiorano il kitsch apparendo, almeno agli occhi del sottoscritto, una bassa scappatoia sceneggiaturiale per indirizzare la narrazione verso gli esiti sperati, esiti per nulla pervenuti ad un’effettiva quanto insoddisfacente visione. Non si sa cosa pensare di un autore che, al pari di parecchi esimi colleghi, smarrisce la propria arte per strada, ed anche se non sono nessuno, ed anche se Côté continuerà ad essere accettato alla Berlinale, io mi arrogo comunque la facoltà di dirglielo chiaro e tondo: Denis, Boris sans Béatrice non può essere nient’altro che un film inguardabile.

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