Sudoeste (2011) è
stato un progetto lungo e laborioso che ha visto il brasiliano
Eduardo Nunes seguirne la gestazione per più di dieci anni, periodo
nel quale si è dedicato alla realizzazione di cortometraggi e
all’editing di film diretti da altri connazionali, genesi
prolungata, dunque, oltre che complicata poiché ad un certo punto
Nunes, trovandosi impossibilitato a proseguire sulla strada
prescelta, fu costretto ad interpellare tal Guilherme Sarmento con il
quale riscrisse la sceneggiatura da capo, il risultato, che
rappresenta il debutto nel lungo, è un film che punta ad
un’autorialità a cui si può venire incontro, già è interessante
la ratio estetica che si segnala tra le più inusuali mai
viste poiché con un rapporto di 3.66 : 1 Sudoeste è capace
di annientare la verticalità per vivere (e morire) nell’ampiezza,
la scelta si lega inevitabilmente al fatto che il set naturale non
presenta rilievi di alcun tipo per cui una dimensione apicalmente
orizzontale si ben coniuga con un quadro così sottile e allungato.
Trattandosi di un esordio poi fa piacere trovare un’immagine tersa
e mercuriale come quella proposta, alla granulosità della pellicola
controbatte un nitore argenteo, abbacinante, al punto che in molte
delle recensioni in lingua inglese presenti in Rete viene accostato
il nome di Béla Tarr, in realtà non basta girare in bianco e nero e
utilizzare qualche carrello per poter fare il cinema di Tarr, ma
Nunes sarà comunque lieto del paragone e conscio del fatto che
tecnicamente il suo è un lavoro d’alta manifattura che potrebbe
perfino essere un punto d’arrivo piuttosto che uno di inizio.
In riguardo alle
tematiche affrontate, Sudoeste (che in realtà è il nome di
un vento del Brasile, e infatti per tutta la proiezione il vento è
un flagello/carezza costante) attraverso un taglio che sa molto di
realismo magico sudamericano (l’ambientazione rurale e storicamente
non collocabile; il velo di magia; il surreale che sgomita per
emergere) punta in alto appoggiandosi su una traccia che è un
continuo cortocircuito temporale dove è meglio abbandonare ogni tipo
di logica. Probabilmente qui Nunes esce un po’ troppo dai binari,
forse una dilatazione più contenuta avrebbe giovato alla totalità
del film, ma in realtà va bene anche affidarsi ad un andamento
contemplativo, non è di sicuro il protrarsi dello stacco a far
deprezzare un film al sottoscritto, il vero forse è dato da
un equilibrio non ancora ottimale tra tempi di ripresa e tempi
narrativi, più che altro è una sensazione personale per cui
rifugiandomi nella soggettività comprendo l’assenza di un valido
substrato alla mia tesi, ciò non toglie che Nunes regali spiragli
visivi più che interessanti come l’arrivo quasi dantesco di
Clarisse sulla terraferma o il passaggio della banda nel villaggio
che grazie ad una cantilena sa raggiungere una tangibile intensità.
Si accennava ai temi: Sudoeste è costituito da un piccolo
caos che lo impreziosisce, il respiro è ampio e corto come la vita
infinita di un giorno, molto si mescola e non si spiega, dell’altro
torna e ritorna, tra epifanie e flashback mai vissuti un concreto
smarrimento è (per fortuna) il sentimento che pervaderà lo
spettatore, le visite guidate, d’altronde, non fanno per noi. Io
alla N del mio taccuino Nunes me lo appunto, poi si vedrà.
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