venerdì 11 agosto 2017

Sudoeste

Sudoeste (2011) è stato un progetto lungo e laborioso che ha visto il brasiliano Eduardo Nunes seguirne la gestazione per più di dieci anni, periodo nel quale si è dedicato alla realizzazione di cortometraggi e all’editing di film diretti da altri connazionali, genesi prolungata, dunque, oltre che complicata poiché ad un certo punto Nunes, trovandosi impossibilitato a proseguire sulla strada prescelta, fu costretto ad interpellare tal Guilherme Sarmento con il quale riscrisse la sceneggiatura da capo, il risultato, che rappresenta il debutto nel lungo, è un film che punta ad un’autorialità a cui si può venire incontro, già è interessante la ratio estetica che si segnala tra le più inusuali mai viste poiché con un rapporto di 3.66 : 1 Sudoeste è capace di annientare la verticalità per vivere (e morire) nell’ampiezza, la scelta si lega inevitabilmente al fatto che il set naturale non presenta rilievi di alcun tipo per cui una dimensione apicalmente orizzontale si ben coniuga con un quadro così sottile e allungato. Trattandosi di un esordio poi fa piacere trovare un’immagine tersa e mercuriale come quella proposta, alla granulosità della pellicola controbatte un nitore argenteo, abbacinante, al punto che in molte delle recensioni in lingua inglese presenti in Rete viene accostato il nome di Béla Tarr, in realtà non basta girare in bianco e nero e utilizzare qualche carrello per poter fare il cinema di Tarr, ma Nunes sarà comunque lieto del paragone e conscio del fatto che tecnicamente il suo è un lavoro d’alta manifattura che potrebbe perfino essere un punto d’arrivo piuttosto che uno di inizio.

In riguardo alle tematiche affrontate, Sudoeste (che in realtà è il nome di un vento del Brasile, e infatti per tutta la proiezione il vento è un flagello/carezza costante) attraverso un taglio che sa molto di realismo magico sudamericano (l’ambientazione rurale e storicamente non collocabile; il velo di magia; il surreale che sgomita per emergere) punta in alto appoggiandosi su una traccia che è un continuo cortocircuito temporale dove è meglio abbandonare ogni tipo di logica. Probabilmente qui Nunes esce un po’ troppo dai binari, forse una dilatazione più contenuta avrebbe giovato alla totalità del film, ma in realtà va bene anche affidarsi ad un andamento contemplativo, non è di sicuro il protrarsi dello stacco a far deprezzare un film al sottoscritto, il vero forse è dato da un equilibrio non ancora ottimale tra tempi di ripresa e tempi narrativi, più che altro è una sensazione personale per cui rifugiandomi nella soggettività comprendo l’assenza di un valido substrato alla mia tesi, ciò non toglie che Nunes regali spiragli visivi più che interessanti come l’arrivo quasi dantesco di Clarisse sulla terraferma o il passaggio della banda nel villaggio che grazie ad una cantilena sa raggiungere una tangibile intensità. Si accennava ai temi: Sudoeste è costituito da un piccolo caos che lo impreziosisce, il respiro è ampio e corto come la vita infinita di un giorno, molto si mescola e non si spiega, dell’altro torna e ritorna, tra epifanie e flashback mai vissuti un concreto smarrimento è (per fortuna) il sentimento che pervaderà lo spettatore, le visite guidate, d’altronde, non fanno per noi. Io alla N del mio taccuino Nunes me lo appunto, poi si vedrà.

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