Voglio tessere apertamente le lodi a questo cinema-sentinella, alla sua postazione di frontiera, non d’avanguardia, quello no, ma comunque molto oltre e molto più avanti di innumerevoli esemplari che non ci provano nemmeno a rischiare. Mi è piaciuta parecchio la tripartizione di Bialas perché è riuscito sfaccettare una precisa situazione senza ricorrere né a banali collegamenti né all’ovvietà di certe scritture, e ho parimenti apprezzato il senso di unità che il film riesce ad esprimere. Il fare-un-film-suoi-migranti può trasformarsi in un terreno assai scivoloso (Gianfranco Rosi ha preso una bella schienata con Fuocoammare, 2016), o ti chiami Sylvain George oppure ci puoi provare con risultati oscillanti (vedi un vertice come Naufragio [2010] o il perfezionabile The Last of Us, 2016), À l’entrée de la nuit, seppur nei venti minuti di cui dispone, è un alto compromesso tra artisticità e concretezza, una validissima e innovativa angolazione da dove provare a comprendere meglio il fenomeno (quanto è orribile questa parola...) dell’immigrazione senza perdere di vista le moderne coordinate autoriali capaci di rendere una produzione breve la breccia che si apre su una bellezza vergine e ammaliante.
venerdì 22 settembre 2023
À l’entrée de la nuit
Tre scenari
(Marocco, Spagna, Francia) intervallati da delle istantanee in
negativo simili all’apparato formale visto in Noite Sem Distância (2015) di Lois Patiño (ma in composizione fotografica
e non video), tre storie (chi parte, chi controlla, chi aspetta), una
narrazione: l’emigrazione dall’Africa all’Europa. Il titolo un
po’ céliniano di À l’entrée de la nuit (2020) non rende
davvero giustizia alla profondità dell’opera, è ben più che un
affacciarsi sull’uscio della notte, è venirne completamente
avvolti, immersi, colmati del buio che inchiostra una foresta
marocchina o un avamposto spagnolo, il lavoro compiuto dal regista
francese Anton Bialas è eccellente, se non straordinario, e mi ha
ricordato gli studi e le ricerche di Pablo Chavarría Gutiérrez o
Eduardo Williams, e proprio da quest’ultimo, in particolare da
Parsi (2019), Bialas sembra riproporre un flusso di immagini
proveniente più da un live streaming che da una registrazione in
digitale, c’è qualcosa che non quadra nello scorrere filmico sullo
schermo, si verifica uno spostamento, tra il percettibile e non, dal
concreto al metafisico, e la camminata dei due tizi nel bosco ne è
modello: grazie al resoconto onirico di uno dei due, al commento non
in presa diretta (guardateli: le loro bocche sono chiuse, sono voci
sovrapposte successivamente) e, appunto, dall’estetica tout court,
veniamo assorbiti in una dimensione parallela, notturna fino al
midollo, separata da una qualsivoglia realtà quando al contempo
proprio di realtà, di cronaca, ci parla.
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