sabato 16 settembre 2023

Noite Escura

Come e più di Ganhar a Vida (2001), anche Noite Escura (2004) affida la propria patina visiva ad una cromatura bicolore che non è affatto casuale, infatti se il rosso ed il verde dominano la scena non è per via di un afflato nazionalista ma perché, citando testualmente le parole del padre, il “Portogallo è un Paese di merda”, trattasi di manifesta iperbole, però tutta la scenografia di João Canijo protende, nello spazio angusto in cui si sviluppa, a mettere in crisi l’architettura famigliare che forse si potrebbe leggere anche in maniera collettiva. Dico forse perché non è mica troppo centrata la storia in questione, volutamente il regista portoghese tiene un piede nella scarpa drammatica e l’altro che se la balla un po’ di qua e un po’ di là, ad esclusione del finale su cui tornerò tra poco, l’intera narrazione pur avendo momenti tragici svicola in un territorio lontanamente grottesco, stranuccio, non realistico, al massimo, come avevo appurato nel film precedente, iper-realistico. Tale impressione nasce da una notevole spinta sulla sintassi delle riprese, in pratica la vicenda è totalmente ambientata dentro ad un night club e Canijo si incolla ai volti dei suoi attori riempiendo il quadro visivo con una polifonia dialogica, nella dimensione quasi labirintica del locale le conversazioni si accavallano tra loro, alcune salgono in primo piano, altre rimangono sullo sfondo, la mdp si aggira con precisione in questo allestimento finzionale che ritornerà in vesti simili e diverse anche in Blood of My Blood (2011). Non è ciò che chiedo al cinema un’impostazione di tal fatta, cercando però di assumere una posizione neutra oggettiva il risultato globale sul fronte estetico si fa apprezzare, il Canijo che abbiamo qua non sarà l’ibridatore dei tempi recenti però non è nemmeno un bolso classicone che gira col pilota automatico, anzi la verve che si vede in video, bella concitata con campi e controcampi al fulmicotone, aggiramento di simmetrie fisiche e prospettive ottiche studiate a tavolino, medica una scrittura che semina qualche perplessità.

Ci ho pensato su e sono arrivato alla conclusione che Noite Escura difetta nella progressione che vorrebbe applicare al dramma. Le premesse noir non sono esaltanti con gli stereotipati mafiosi russi, le successive torsioni tramiche improntate ad evidenziare il marcio nel sistema, sia sociale che consanguineo, sta in piedi per la sua particolare eccentricità (il discorso ha un’eccezione negativa: quando si abbozza l’incesto, sequenza molto forzata che peggiora con il “fortuito” ingresso di Sonia), tuttavia una volta scese in campo le varie forze che cercano di mutare nel bene o nel male il destino della giovane cantante la pellicola si livella, cincischia tra il thriller e la soap-opera, e soprattutto non riesce a dare voce credibile all’accettazione del sacrificio da parte della figlia. Cioè, manca qualche passaggio razionale per cui la ragazza, dapprima convinta a diventare una star della musica spagnola, poi messa ripetutamente in guardia da Carla sul pericoloso futuro che l’attenderebbe via da lì, ad un certo punto decide di far saltare il piano di fuga ideato dalla sorella acconsentendo di essere “presa” dai malavitosi. Se lo fa per salvare il culo al padre non se ne capisce il motivo dato che l’uomo non pare farsi grandi scrupoli nei suoi confronti, allora sarebbe stato più coerente che avesse seguito il consiglio della sorella che pare davvero tenere a lei. Dovunque si situi il possibile senso, il nodo della faccenda è che quando in un film la sceneggiatura ha un peso rimarchevole il rischio è che certe dinamiche seguano delle evoluzioni (o involuzioni?) pensate per assoggettarsi a regole ingabbianti. E questo ci collega dritti dritti alla chiusura scelta da Canijo, a pensar male parrebbe che a prescindere dagli eventi nel club, Sonia sarebbe comunque salita sulla macchina scura, perché? Perché era necessario giungere ad un climax funereo qui tradotto in una sparatoria con accentuata coda cruenta. Se fino a quel momento gli strappi violenti reggevano per la loro essenza stralunata, l’ultima carneficina, così greve ed enfatica, non ci stava per niente, un atto di conformazione a certi modelli cinematografici che è l’opposto della libertà creativa desiderata dal sottoscritto.

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