Purtroppo
non c’è molto da analizzare in un cortometraggio come Ya
normalniy (2018), tipico lavoro da esordiente che nel nostro caso
specifico si chiama Michael Borodin, uzbeko classe 1987 formatosi a
Mosca. Il contesto, stravisto fino alla nausea, è quello di una
realtà teen che si porta dietro i suoi inevitabili e accomunanti
problemi, accentuati qui da una periferia russa che non permette
alcuna realizzazione sul piano personale. Il canale di trasmissione
adottato risponde ai dettami di un cinema-verità che ben conosciamo,
per rimanere in territorio sovietico siamo dalle parti di
Slaboshpytskiy, e quindi tanta camera a mano, pedinamenti e riprese
concitate quando c’è bisogno di movimentare le acque. Niente,
assicuro, che i vostri occhi non abbiano già ampiamente visionato in
passato. Le dinamiche narrative sono banali e ricorrono a cliché a
dir poco abusati (il bulletto del quartiere; il padre-padrone), lo
sviluppo della storia è telefonato, piatto, prevedibile, anonimo:
ecco la questione che a mio avviso dovrebbe far più male al regista,
tutto è insipido, privo di una presa mordace, e aggiungo che se il
corto fosse stato ambientato al di fuori della Russia in un qualche
sobborgo francese o brasiliano non sarebbe cambiato niente. E non si
tratta di uno spirito universale ma di un’omologazione verso
grammatiche artistiche di scarso livello.
Poco da
aggiungere inoltre sul concetto di normalità che fornisce il titolo.
Relativizzando la situazione, ciò che è normale per
il papà, ossia obbligare il proprio figlio a fare il militare
azzoppando i suoi sogni scolastici, e quindi di riflesso per la
società, non è altrettanto normale
per il ragazzo che invece vorrebbe proseguire gli studi in un college
in città. Come andrà a finire ce lo mostra Borodin nell’ultima
scena casalinga intorno al tavolo che magari esprimerà anche un
senso di ragionevole chiusura (data la pochezza che l’ha preceduta
vince facile), ma che non riabilita sicuramente un film troppo
semplice per le necessità di chi sta scrivendo. Vi basti pensare che
Normal non dura
neanche venti minuti eppure questo breve lasso di tempo l’ho
percepito come triplicato. Incomprensibilmente selezionato nella
Semaine de la Critique del 2018, per la serie: non oso immaginare
come erano gli esclusi...
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