mercoledì 27 settembre 2023

The Crying Conch

Un regista nato alle Mauritius (ma trasferitosi all’età di diciannove anni in Canada per studiare cinema) scrive e dirige un cortometraggio che si occupa di François Mackandal, uno schiavo di origini africane che fomentò una serie di sommosse contro i padroni francesi verso la metà del ’700. Be’, di sicuro a Vincent Toi non gli si può negare di proporre una multiculturalità che si riflette anche nella sua biografia, come altrettanto certamente è piuttosto facile essere sedotti da un lavoro come The Crying Conch (2017), cioè la cornice haitiana, così esotica e accattivante ha radici etnografiche che stuzzicano, in più aleggia fin dall’inizio (peraltro circolarmente connesso alla fine) una dose di astrazione che, data una situazione di similare indeterminatezza, ricorda un po’ Naufragio (2010) di Pedro Aguilera. Inoltre Toi crea un aggancio con il passato storico piazzando un uomo sulla spiaggia (forse per un qualche rito indecifrabile è proprio Mackandal in persona a parlarci) che accompagnato da un tambureggiare di bongo inquadra la faccenda come era un tempo, tutto in regola se non fosse che l’effettivo racconto che si sviluppa sullo schermo non ha un laccio concreto con la schiavitù nei Caraibi del diciottesimo secolo, eppure, attraverso quei capienti nonché sapienti processi che a volte si instaurano tra la settima arte e chi ne usufruisce, la sensazione di un collegamento attivo, al di là dell’evidenza geografica, il sottoscritto l’ha percepita.

Ho la convinzione di non possedere dei possibili riferimenti extra perché la storia, dagli echi cristologici, ha un’essenza quasi parabolica che avanza di episodio in episodio lasciando l’impressione di seguire un canovaccio già scritto da qualcun altro. Si parte con un’immagine ad effetto dove il protagonista nudo emerge dalle acque e da lì comincia il suo cammino. Incontra una sorta di sciamano, arriva in un villaggio, incrocia lo sguardo di una donna con la quale si unirà carnalmente, lavora in un cantiere, aiuta una levatrice durante un parto, osserva degli uomini che sgozzano una capretta, perde dei soldi giocando d’azzardo, vede la sua amante flirtare con il capomastro e in un raptus di rabbia lo prende a pietrate, scappa e si infila in un corteo festante per poi ritornare definitivamente all’acqua. Magari il violento gesto compiuto nei confronti del capo è un rimando alla sovversione del potere (sebbene la scena in questione mi sia risultata la maggiormente forzata dell’opera), ma il movente è essenzialmente legato alla gelosia e non a principi rivoluzionari, quindi non saprei, e non sapendo sono moderatamente contento, qualche aggiustamento qui, qualche limatura là, ed ecco un nuovo filmmaker su cui puntare gli occhi.

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