martedì 26 settembre 2023

Un Film Dramatique

Il progetto Un Film Dramatique (2019) è diverso dagli altri film fin qui visti di Éric Baudelaire così come essi stessi divergevano, bene o male, in un reciproco confronto: del substrato finzionale di The Ugly One (2013) non vi è traccia, l’interesse geopolitico di Letters to Max (2014) è praticamente assente, la trattazione di un argomento contemporaneo e stringente come per Also Known as Jihadi (2017) se c’è è parecchio flebile. È indubbio che si ha a che fare con un autore assai eclettico interessato in egual misura sia alle forme che ai contenuti. Per il film in esame parliamo forse del suo studio maggiormente teorico applicato alla materia, il contesto laboratoriale è una scuola media dei sobborghi parigini dove Baudelaire si è insediato per quattro anni avviando un percorso di pratica registica con alcuni degli studenti dell’Istituto. E proprio a loro chiederà all’inizio la domanda delle domande: di cosa deve occuparsi un’opera cinematografica? Ovviamente i ragazzetti forniscono i loro amabili punti di vista ma forse nessuna delle voci che udiamo su uno sfondo nero ha davvero preso coscienza di due aspetti: che il film li riguarderà da vicino, e che saranno in prima persona contemporaneamente al di qua e al di là della mdp. Il prezioso asse concettuale del documentario che incontra i favori del sottoscritto è dato da una libertà creativa e realizzativa che si fonda su un coraggioso principio, ovvero l’auto-esautorazione dal ruolo di regista che Baudelaire compie. Alla lontana è un po’ la medesima mossa attuata da Williams per Parsi (2019), affidare una videocamera a chi in linea ipotetica non avrebbe le credenziali per pigiare il tasto REC, si rivela una splendida dimostrazione di autonomia artistica che esemplifica un’idea romantica e bellissima: il cinema non ha bisogno di sofisticati orpelli, esso vive ovunque e comunque, ci circonda, è nelle nostre vite anonime, nella quotidianità dell’esistenza. E il fatto che siano dei dodicenni o giù di lì a darne prova empirica fa riflettere sulla malleabilità e la pervasività della settima arte.

Nello sfaccettato flusso di immagini dove ad ogni modo Baudelaire mantiene una percentuale di paternità (la maggioranza delle riprese scolastiche sono girate da lui), siamo spettatori di tanti eterogenei approcci messi in campo dai giovani filmmaker in erba, una dimensione ludica non viene mai meno perché l’attrezzo che maneggiano è pur sempre una novità, una modalità di vedere (e far vedere) il mondo agli altri, ma anche nell’amatorialità non manca una presa abbastanza profonda e abbastanza intima, magari involontaria, però presente, tangibile, che si riflette nella foto di un nonno appesa alla parete o in una video-confessione che non si riesce a fare perché... perché è così, e basta. Le uniche sbavature che non hanno pienamente incontrato i miei desideri si situano in alcune sequenze dove i ragazzi seduti intorno ad un tavolo discutono su questioni “da adulti” come il terrorismo, il razzismo (i componenti della classe protagonista hanno tutti origini extra-europee) e la politica, non discuto tale scelta che nell’economia filmica è anche fruttuosa visto che come spesso accade le parole dei bambini stupiscono per trasparenza e lucidità di pensiero, brontolo soltanto perché è un escamotage non troppo innovativo (penso a Silvano Agosti) che sta un passo indietro rispetto all’emancipazione esibita dai filmati degli alunni. Un Film Dramatique è uno di quei lavori di cervello che non puntano all’emozione superficiale, però se ascolti attentamente, ecco, sì, se tendi l’orecchio un tump tump regolare lo senti pure.

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