venerdì 29 settembre 2023

Mister Universo

Tizza Covi e Rainer Frimmel proseguono la loro esplorazione di un mondo ormai in via di estinzione: il circo, per farlo ritornano negli stessi luoghi di Non è ancora domani (La pivellina) (2009) concentrandosi sulla figura di Tairo Caroli, un domatore di leoni, alla ricerca del forzuto Arthur Robin che anni addietro gli diede in dono un portafortuna ora smarrito. Il registro del duo italo-austriaco è come di consueto un abbraccio della realtà catturata con pochi filtri, l’essenza del film si muove tra il confine dell’impostazione e quello dell’improvvisazione senza dare la possibilità a chi guarda di riconoscere agevolmente le due istanze, succede che in certi frangenti sembra di assistere ad un documentario mentre in talaltri ad un’opera di fiction, questa indeterminatezza è un asse portante nel cinema della coppia (ricordo identiche caratteristiche anche per The Shine of Day, 2012), non sarà il top dell’innovazione ma non è nemmeno poi così male. Il focus su Tairo permette di accedere nel mondo circense da diverse porte, tutte che conducono in stanze/tematiche degne di attenzione; l’inquietudine del ragazzo, specchio di una precaria situazione lavorativa, è il motore della vicenda dispiegata in una “caccia all’uomo” che si rivela una caccia verso se stesso, del resto Mister Universo (2016) potrebbe anche essere inteso come un racconto di formazione che enuclea un percorso di crescita personale, di cambiamento: parallelo di un circo che per forza di cose non può essere lo stesso del passato. Inoltre è carina la costellazione famigliare che il protagonista nel suo tragitto va a visitare, case-roulotte, nomi esotici, vite gitane che sfioriamo insieme a lui nello spazio di un caffè o una sigaretta, e poi i residui della tradizione, la superstizione, i tarocchi, gli amuleti, un’enciclopedia che arriva in punta di piedi ma che arriva.

Certo è che la pellicola in oggetto, al pari delle altre firmate da Covi & Frimmel, facendosi portavoce di una storia minima, risulta avere una piccola statura, e come in tutte le cose che sono piccole spesso delle fragilità ne minano l’integrità. Quando Mister Universo imbocca la strada finzionale emerge qua e là un’ingessatura che non è mai facile rimuovere, e ciò accade sempre in contesti del genere così ibridi, in particolar modo durante le interazioni tra gli “attori” dove anche la più alta percentuale di estemporaneità non può fare a meno di venire intaccata da un canovaccio preparatorio studiato a tavolino. Cito ad esempio l’incontro tra Tairo e Mr. Robin che cozza con l’impianto generale, troppo forzato e poco naturale. Vabbè, se si riesce ad aggirare tale scoglio (massì, suvvia ci siamo dovuti sorbire ben di peggio nella nostra carriera spettatoriale), il film ha energia sufficiente per condurci alla conclusione perché è vero che gli oggetti piccoli prestano facilmente il fianco a dei difetti, però è altrettanto vero che possiedono una forza inspiegabile e che sanno darci del tu senza chiedere grandi sacrifici in cambio, se non, al massimo, restare seduti neanche novanta minuti di fronte ad uno schermo. Nel cosmo della settima arte, popolata da infiniti corpi celesti dalle forme più varie, quello di Tizza e Rainer, pur non essendo una supernova, ha una sua luce portatrice di schiarore.

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