Il
colombiano Camilo Restrepo, artista eclettico da tenere sotto stretto
controllo, attraversa l’Atlantico, circumnaviga l’Africa e
approda a Cilaos, comune situato sull’isola di Riunione, un
dipartimento francese d’oltremare ubicato di fronte al Madagascar.
Anche se, va detto, il corto vive in una dimensione tutta sua, quasi
astratta, che non dà punti di riferimento geografici, nel senso:
potremmo essere in molti altri posti alquanto sconosciuti oltre che
anonimi, viceversa fornisce degli appigli linguistici visto che
l’idioma parlato è un francese imbastardito da chissà quale altra
lingua. Da questi elementi che si delineano tra il concreto e non, il
mio Pedro Costa-detector ha iniziato a lampeggiare, al di là di una
situazione scenica all’incirca equiparabile con i lavori del
portoghese sempre infestati dai fantasmumani di Capo Verde,
l’impostazione di Cilaos (2016)
ha abbastanza di costiano nel modo in cui si interessa all’umanità
sullo schermo, ovvero un approccio che è diretto e che al contempo
non lo è, è il posizionarsi in un angolo che ci restituisce donne e
uomini che sembrano appartenere ad un altro mondo, cosa
incontrovertibile se non fosse che quel mondo è anche il nostro. Poi
Restrepo si distacca dal maestro lusitano insistendo parecchio sulla
componente musicale, la protagonista è Christine Salem (una stimata
cantante locale) e grazie alle sue performance il film si trasforma,
non saprei spiegare come, in un musical atipico dove gli intermezzi
canterini suggeriscono un’idea di coinvolgimento, di trance ritmica
e tribale che noi occidentali possiamo giusto immaginare, il che è
sempre meglio che niente.
Da enucleare a voi cari lettori è inoltre l’impianto estetico
pensato dal regista. Complice la pettinatura afro della donna e un
trattamento vintage della pellicola, se avessi visto una sequenza o
anche solo un fotogramma estrapolato dal contesto generale avrei
detto con sicurezza di avere davanti a me un’opera di
blaxploitation degli anni ’70, in realtà siamo ben lontani da
quelle vetuste grammatiche ma tant’è lo sbalestramento formale
incide, suggestiona e incuriosisce chi guarda. Quindi sussiste una
cornice attraente e all’interno di essa si sviluppa anche una
pseudo-storia che vede la Nostra alla ricerca del proprio padre detto
La Bouche, in un nebuloso progredire Restrepo si aggira in luoghi bui
riprendendo la sua attrice dal basso verso l’alto figurandola in
un’immagine di semi-santità o semi-stregoneria dove due neon le
fanno da aureola, o da corna. Incontri ambigui, non agilmente
accessibili, scanditi da battiti arcaici fino alla forse congiunzione
tra il corpo della figlia e lo spirito del papà, una magia nera che
si verifica nell’amato antro cinematografico. Restrepo entra nella
lista dei desideri, seguiranno aggiornamenti.
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