Le porzioni che si occupano di darci delle nozioni storiche sul Ghetto sono molto interessanti (e forse perfino troppo brevi!), così come è stuzzicante l’incursione nel mondo delle transessuali che lavorano in Vico della Croce Bianca, per quanta vita hanno vissuto e per quante cose hanno visto ci vorrebbero almeno altri dieci documentari per provare appena appena a capire che cosa vuol dire stare sulla soglia, ogni giorno, in attesa. Per Vie Traverse non è solo un’opera che mi verrebbe da definire divulgativa, ad un certo punto, a seguito di un incendio nell’adiacente Via del Campo, fa sì che la settima arte scenda in strada per aprire una finestra di pura cronaca con gli sfollati del palazzo andato in fiamme (principalmente marocchini) che non sanno dove andranno a dormire la notte. Per i gusti del sottoscritto la scelta di inserire uno stralcio di totale realismo con camera a mano e annessi traballamenti squilibra un goccio l’ecosistema del film, ma è innegabile che la faccenda dell’incendio di cui, tra l’altro, vediamo poi le conseguenze, ovvero l’occupazione dell’edificio fatiscente da parte di alcuni clandestini, è utile per misurare la temperatura di un corpo urbano malato, uno spazio altamente problematico che le parole delle istituzioni non hanno risanato e probabilmente non ci riusciranno mai perché il Ghetto è il Ghetto, è uno di quei luoghi-non-luoghi che sembrano esistere immutati e immutabili da un tempo indefinito, una bolla che è brodo di narrazioni vive, drammatiche, angoscianti (e la signora Miriam, la responsabile del centro di recupero per tossicodipendenti, ha visto qualcosa di tremendo), contemporanee, di un’urgenza che si procrastina fino ad eternarsi. Non si sa che ne sarà in futuro di Vico della Croce Bianca e dei claustrofobici affluenti che in lui si immettono (a oltre dieci anni di distanza e con due cambi d’amministrazione comunale posso assicurare che non è mutato granché), di sicuro il documento di Grippa & Bertora rappresenta una valida testimonianza che spiega nel suo piccolo lo stato delle cose nell’umido nucleo di una Genova salina e promiscua, un posto che chi sta scrivendo queste righe ama incondizionatamente.
lunedì 4 settembre 2023
Per Vie Traverse - Racconti dal Ghetto di Croce Bianca
Il
lavoro successivo di Carla Grippa e Marco Bertora, Nessun Fuoco Nessun Luogo
(2014), sarà per impostazione e sguardo di insieme un film più
strutturato, ciò non toglie che Per
Vie Traverse - Racconti dal Ghetto di Croce Bianca
(2011), nonostante risulti essere un progetto di tesi in Antropologia
Culturale, mantenga un’onestà di fondo che medica tutti i
possibili limiti insiti in un oggetto del genere. Il Ghetto del
titolo è una contenuta porzione urbana che si trova nel centro
storico di Genova tra Piazza della Nunziata e Via Gramsci, è una
delle zone che, come giustamente viene sottolineato dagli
intervistati, nemmeno i genovesi stessi sono soliti percorrere, è il
crocicchio più oscuro di tutti i caruggi,
è un luogo abitato da anime avvolte dentro a hijab
verde acqua e da fantasmi di tenebra con i denti bianchissimi che
vivono sugli spigoli dei vicoli, è un posto che non è per tutti
sebbene non sarebbe male che tutti lo vedessero perché seguendo il
ragionamento di Dennis quella porzione di dedalo potrebbe essere uno
specchio in quanto è nell’alterità, nella diversità a due passi da
noi che però non vediamo o non vogliamo vedere, che ci si può
ritrovare e magari provare a capirsi. E i due registi in questa
popolazione “altra” ci si immergono con dedizione, la loro è una
catabasi nel cuore nero della città, ovviamente si poteva fare di
più e meglio (ritengo Genova e la sua parte vecchia un enorme
recipiente di storie che tu, caro lettore, nemmeno ti immagini e che
il cinema potrebbe raccontare, ma ad esclusione di Pietro Marcello
non c’è stato nessun episodio degno di nota negli anni recenti),
tuttavia ci si può accontentare perché soprattutto per gli
spettatori non-genovesi si avrà l’occasione di entrare in contatto
con una realtà che in Italia non credo abbia eguali, sia nel bene
che nel male, ammesso che qui, proprio qui dove “qualcuno”
cantava di fiori e sterco, abbia senso leggere una complessità di
tale portata attraverso una banalizzante dicotomia.
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